1. Ingmar Bergman, il pescatore Jonas e la bomba cinese

Luci d’Inverno, 1963, uno dei più cupi e sintetici film di Bergman: il pescatore Jonas, personaggio secondario ma centrale per la sua funzione di catalizzatore del cambiamento morale, è ossessionato dalla paura della bomba atomica cinese. I tentativi maldestri del pastore protestante del villaggio non lo allontanano dal pensiero del suicidio, che compirà poco dopo: il suo gesto è paradossale, perché Jonas si toglie la vita per paura di essere vittima dell’ordigno nucleare.

Tuttavia, nel periodo di produzione del film, tra 1961 e 1963, la bomba cinese non è ancora stata realizzata. Il primo test è datato 16 ottobre 1964; in più, il governo di Pechino – nel giorno dell’esperimento – dichiara di non avere alcuna intenzione di usarla, di averla fatta solo per sottrarsi al ricatto nucleare delle potenze occidentali e sovietiche[1]; l’ordigno viene definito da Mao-Tse-Dong “tigre di carta” per sottolinearne il senso simbolico di deterrenza incrociata.

Il suicidio del pescatore Jonas risulta, perciò, paradossale ed emblematico del potere mobilitante che ha avuto e che ha ancora la bomba atomica.

Una delle fonti di questo potere mobilitante è proprio la paura, come quella del personaggio di Bergman, paura che ha favorito la nascita della prima bomba negli Stati Uniti, a Los Alamos, e che ne accompagna, come un fil rouge, la storia dal 1942 ad oggi.

Schopenhauer scriveva che la volontà di suicidarsi è in sé la più paradossale espressione della volontà di vivere; non il desiderio di una «non vita», ma di vivere diversamente. Quando ci assalgono la paura e il timore, noi non funzioniamo più come funzionavamo fino all’attimo prima. E quando ci assalgono, ciò che è stato prima e ciò che verrà sono come recisi, e siamo gettati in una punta di presente senza estensione. Una volta evitata la causa della nostra paura, procediamo alla ricostruzione, a rifarci l’idea del tempo trascorso: spieghiamo il perché di ciò che è passato, e di ciò che abbiamo fatto, ricostruendo in pari tempo piccoli schemi per il futuro, «la prossima volta sarà diverso, saprò cosa fare». 

Ma se quel timore non passa, e se non passa perché sopra alle nostre teste gravita la spada di Damocle, allora non passa più nulla, e la paura diventa condizione, com’è la condizione atomica. Non è la paura dell’attimo ma la disperazione dell’inevitabile, «Dio, perché mi hai abbandonato?». Non c’è alcuna espressione di volontà – «bisogna vivere» dice il parrocco a Jonas, «ma perché bisogna vivere?» risponde quest’ultimo[2].

Neppure nel suicidio c’è volontà, l’atto drammatico non cambia alcunché – il parroco ripete la cerimonia, Martha torna ad amare chi non l’ha mai amata, ognuno è consegnato alla propria solitudine: le inquadrature di Bergman non ritagliano mai una scena di coppia, ma giustappongono due persone solitariamente insieme. In una pellicola quasi unicamente fatta di dialogo, ognuno parla senza un reale interlocutore: «Gesù ha patito una sofferenza più grande di quella fisica», dice il cappellano, reinterpretando il nuovo testamento, «per tre anni Gesù aveva parlato a quei discepoli […] quanto deve aver sofferto allora, sapendo che nessuno aveva capito niente».

2. Oppenheimer e la paura della bomba di Hitler

La fantomatica bomba atomica nazista è un pezzo importante dell’arazzo che fa da sfondo alla realizzazione e riuscita del Progetto Manhattan, alla creazione degli ordigni esplosi sopra Hiroshima e Nagasaki.

I primi esperimenti di fissione del nucleo dell’uranio vengono realizzati nella Germania nazista, nel 1938, da Otto Hahn e Fritz Strassmann e verificati dagli austriaci  Lise Meitner e Otto Frisch; nel 1939, Szilard, Teller e Wigner, fisici ungheresi emigrati tra Gran Bretagna e Stati Uniti, convincono Albert Einstein a scrivere una lettera destinata alla Regina del Belgio per invitarla a non vendere l’uranio del Congo Belga a Hitler. La lettera viene poi letta al presidente americano Roosevelt, che comprende subito il rischio di una potentissima arma nucleare nelle mani di Hitler e fa sua l’idea – non espressa da Einstein – di avviare un programma militare nucleare alleato.

La presenza di Oppenheimer è determinante per la riuscita del progetto Manhattan, per la sua grande attitudine organizzativa e per la capacità che mostra nel tradurre[3] il progetto in termini convincenti per i diversi attori che vi devono partecipare. Ancora una volta la paura gioca un ruolo chiave: il fatto che Hitler e i nazisti arrivino ad avere la bomba per primi – e che, ovviamente, la possano usare per decidere la guerra a loro favore – è l’elemento di pressione di Oppenheimer per convincere i fisici meno motivati a lavorare in un programma di armamenti.

E, anche questa volta, c’è un paradosso: la paura è mal fondata perché i progetti nucleari  tedeschi si erano persi in diversi rivoli tra loro in concorrenza e – forse – alcuni dei fisici rimasti in patria cercavano di boicottarli[4]. La bomba tedesca non era un pericolo concreto.

La bomba atomica è stata altro dal momento in cui fu possibile pensarla, è stata altro dal momento in cui qualcuno si accorse della fattibilità pratica. Rispetto ai drammi più recenti, noi tendiamo a ricostruire gli avvenienti con una ben ordinata successione intermezzata da spiegazioni “moraleggianti” che ne dovrebbero tenere insieme l’impalcatura. Si tenta, per esempio, di dare una spiegazione “quasi morale” o “tirannica e mefistofelica” delle intenzioni dell’una e dell’altra parte: trasformiamo il corso degli eventi nel risultato delle intenzioni di qualcuno, e tra queste andiamo in cerca di qualche capro espiatorio che giustifichi il corso degli avvenimenti e la loro sensatezza.

Ogni volta che è necessario ridurre la grandezza di ciò che ci sopravanza, e ci minaccia, torna a galla il capro espiatorio. È ciò che succede nella grande maggioranza delle ricostruzioni di ciò che è stata la bomba atomica; dal momento in cui è risultato chiaro che l’ordigno nucleare poteva davvero essere costruito, la paura è diventata condizionante. Di conseguenza, determinare quanto la paura abbia spinto l’una o l’altra parte ad attivarsi per la costruzione della bomba – un fatto forse più vicino alla ricostruzione storica – cede il passo all’analisi della condizione prodotta dalla possibilità stessa della sua realizzabilità. Cerchiamo la colpa di qualcuno per ridurre quest’irrevocabile condizione in una paura momentanea, perché nella colpa ben distribuita verso qualcuno ci convinciamo che eliminando la causa saremo capaci di evadere il nostro stato.

3. Ancora paura: la guerra fredda e oggi

La ricerca sull’uso militare del nucleare in Unione Sovietica inizia negli anni ’30, in parallelo con quella tedesca ma, allo stesso modo, inizialmente non viene perseguita in modo coordinato ed organizzato. La svolta interviene quando l’NKVD[5] entra in possesso di documenti britannici che parlano della possibilità di costruire bombe di potenza mille volte superiore a quelle tradizionali dello stesso peso. Anche nel caso sovietico fu una lettera – scritta dal fisico Georgji Flerov a Stalin – a smuovere l’interesse dei vertici e a decidere per un programma di sviluppo, sostenuto dal potente ministro Molotov[6].

Una lettera che mette paura a Stalin, paura – di nuovo – che i tedeschi e gli americani abbiano la bomba per primi. Paura che possa essere usata e che possa creare ulteriore squilibrio di potere. Paura confermata dall’annuncio sibillino di Truman a Stalin – durante la conferenza di Potsdam – del possesso di un’arma rivoluzionaria di straordinaria potenza.

Paura che genera altra paura: il 29 agosto 1949 i sovietici armano e fanno saltare con successo il “Primo raggio”, la loro prima bomba al plutonio.

Negli Stati Uniti la paura del nucleare militare sovietico diventa altissima negli anni sessanta, con lo sviluppo dell’arsenale russo, la crisi della Baia dei Porci, la costruzione delle basi di lancio di missili nucleari a Cuba da parte di Nikita Kruscev.

Sono gli anni dei rifugi anti-atomici fai-da-te. Molti americani si costruiscono in breve un rifugio nel giardino di casa e soprattutto fanno una gran scorta di cibo in scatola, per fronteggiare eventuali scarsità di risorse provocate da una guerra nucleare; il Governo US diffonde le istruzioni di comportamento in caso di attacco atomico con lo slogan “Duck and Cover”[7], campagna voluta da Truman, che dice di abbassarsi (duck) e cercare riparo (cover).

In Europa i rifugi esistono già in molti paesi, retaggio della seconda guerra mondiale e probabilmente inutili come Duck & Cover. Il caso della Svizzera è emblematico della paura che domina tutti: nel 1963 una legge federale impone che “I proprietari d’immobili sono tenuti a realizzare ed equipaggiare rifugi in tutti i nuovi edifici abitativi” (Legge Federale 4 ottobre 1963 sull’edilizia di protezione civile, Camere Federali Svizzere, Articolo 46). La Federazione Svizzera dispone oggi di 360.000 bunker che dovrebbero riparare anche dalle radiazioni. In Italia, in caso di attacco a Roma, il governo si sarebbbe dovuto trasferire immediatamente nel rifugio del monte Soratte, a circa 40 chilometri dalla capitale, attrezzato appositamente in collaborazione con la NATO.

Poi, con la distensione, gli accordi di disarmo, le moratorie, il crollo dell’”Impero del male” sovietico, la paura si sopisce. Ma le armi nucleari sono lì, per fortuna mai utilizzate dal 1945, in Russia, negli Stati Uniti, in Cina, in Francia, in India, in Pakistan, in Corea del Nord, in Israele.

E almeno tre di questi paesi sono in guerra, oggi: la Russia, Israele, gli Stati Uniti – protagonisti come fornitori di armi anche in molte guerre locali. Altri paesi, come la Corea del Nord, alimentano un clima di ostilità a bassa intensità con gli stati limitrofi, e talvolta usano – in modo più o meno esplicito – la potenza nucleare come minaccia.

La paura si fa risentire: i sondaggi indicativi effettuati da due riviste italiane[8] mostrano che tra il 56% e l’80% degli intervistati ha paura di una escalation atomica in Ucraina; uno studio sistematizzato in Germania parla del 47% di intervistati seriamente preoccupati di una guerra nucleare.

Le armi atomiche sono ancora lì. Se già da tempo la filosofia Critica ha sostituito all’escatologia storica dal sapore cristiano una logica storica che premonisce il disastro e l’annichilamento[9], forse uno dei compiti del nostro tempo consiste nel tentare di concepire una via alternativa alla condanna senza espiazione della condizione atomica. Insomma, se già da tempo le classiche logiche della salvezza hanno perso il loro contenuto, è altrettanto vero che di fronte al disastro, o alla condizione disperata dell’atomica, la «storia della salvezza» si è riempita di nuovi contenuti, e preferisce, oggi, preannunciare il disastro come modo per «anticipare razionalmente» la propria fine. È un non-schema per la gestione del futuro: ridurre una minaccia troppo grande e di cui sembra impossibile intravedere la fine, anticipandone a parole il disastro e la realizzazione.

Le armi atomiche sono ancora lì. Dalle punte di selce che permettevano l’uccisione di uno a uno, siamo giunti alla pensabilità di una pletora di armi – e potremmo annoverare anche le armi chimiche e biologiche – che permettono l’uccisione uno-tutti. Ora bisognerà pensare perché – a discapito di ogni evidenza che sembra testimoniare uno sviluppo storico dell’autodistruzione – l’umanità non deve necessariamente essere votata all’annichilamento.

 

 

NOTE

[1] “La Cina ha fatto esplodere una bomba atomica […]ore il 16 ottobre 1964, portando così a termine con successo il suo primo test nucleare. Questo è un risultato importante del popolo cinese nella sua lotta per rafforzare la propria difesa nazionale e opporsi alla politica imperialista statunitense di ricatto nucleare e minacce nucleari. Difendersi è il diritto inalienabile di ogni stato sovrano. Salvaguardare la pace nel mondo è il compito comune di tutti i paesi amanti della pace. La Cina non può rimanere inattiva di fronte alle crescenti minacce nucleari degli Stati Uniti. La Cina sta conducendo test nucleari e sta sviluppando armi nucleari sotto costrizione. Il governo cinese ha costantemente sostenuto il divieto assoluto e la distruzione completa delle armi nucleari. Se ciò fosse stato ottenuto, la Cina non avrebbe dovuto sviluppare armi nucleari. Ma la nostra proposta ha incontrato resistenza ostinata da parte degli imperialisti statunitensi. Il governo cinese ha sottolineato molto tempo fa che il trattato sulla sospensione parziale dei test nucleari firmato a Mosca nel luglio 1963 da Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica era una grande frode per ingannare il popolo del mondo, che era un tentativo consolidare il monopolio nucleare delle tre potenze nucleari e legare le mani di tutti i paesi amanti della pace, e che aveva aumentato, e non diminuito, la minaccia nucleare dell’imperialismo statunitense contro il popolo cinese e del mondo intero […]  La bomba atomica è una tigre di carta. Questa famosa dichiarazione del presidente Mao Zedong è nota a tutti. Questa era la nostra visione in passato e questa è ancora la nostra visione attuale. La Cina sta sviluppando armi nucleari non perché crede nella loro onnipotenza né perché intende usarle. Al contrario, nello sviluppo di armi nucleari, l’obiettivo della Cina è di rompere il monopolio nucleare delle potenze nucleari ed eliminare le armi nucleari. Il governo cinese è fedele al marxismo-leninismo e all’internazionalismo proletario. Crediamo nelle persone. Sono le persone, e non le armi, a decidere l’esito di una guerra. Il destino della Cina è deciso dal popolo cinese, mentre il destino del mondo è deciso dal popolo del mondo, e non dalle armi nucleari. La Cina sta sviluppando armi nucleari per la difesa e per proteggere il popolo cinese dalle minacce statunitensi di lanciare una guerra nucleare. Il governo cinese dichiara solennemente che la Cina non sarà mai, in nessun momento o in nessuna circostanza, la prima a usare armi nucleari … ” https://it.alphahistory.com/chineserevolution/la-Cina-mette-alla-prova-l%27arma-atomica-1964/

[2] Luci d’inverno, Bergman I., 1963

[3] Si veda. Per i concetti di traduzione e di arruolamento,  Latour B. (1987), Science in action: How to Follow Scientists and Engineers through Society, Londra: Harvard University Press.

[4] Tra questi sembra aver giocato una parte molto importante Werner Heisenberg; si veda ad esempio: https://www.tempi.it/heisenberg-fisico-tedesco-atomica-hitler/

[5] Il NKVD (Narodnyj komissariat vnutrennich del) era il Servizio di sicurezza sovietico, poi diventato – nel 1954 – KGB (Komitet Gosudarstvennoj Bezopasnosti) Comitato per la sicurezza dello stato.

[6] Vjačeslav Michajlovič Molotov non era, come credono in molti, l’inventore della bomba incendiaria detta Molotov. “il loro nome viene dalla cosiddetta Guerra d’inverno, combattuta nel giro di pochi mesi tra l’Unione Sovietica e la Finlandia, che alla fine del 1939 si era opposta ai tentativi di espansione della Russia verso nord.

L’allora ministro degli Esteri sovietico, Vjačeslav Michajlovič Molotov, cercò di convincere i russi che il loro esercito non stesse bombardando la Finlandia, ma soltanto lanciando aiuti umanitari, con l’obiettivo di «liberare» il paese, con una retorica simile a quella utilizzata dalla propaganda putiniana per giustificare l’attuale invasione dell’Ucraina. I finlandesi soprannominarono scherzosamente questi aiuti «i cestini da picnic di Molotov» e per così dire decisero di ricambiare la cortesia lanciando centinaia di migliaia di «cocktail di Molotov» contro i sovietici, motivo per cui ancora oggi in inglese le molotov sono conosciute anche come “Molotov cocktail”. (https://www.ilpost.it/2022/03/26/bombe-molotov/)

[7] La campagna Duck and Cover è scimmiottata scherzosamente dai californiani che in caso di terremoto (the Big One che tutti temono ma che nessuno davvero paventa) suggeriscono il comportamento “Put your head between your legs and kiss your ass goodbye”, che si trova stampato sulle magliette souvenir.

[8] Money.it e ItaliaOggi, 2024

[9] (si vedano Horkheimer Eclisse della ragione, o Horkheimer e Adorno Dialettica dell’illuminismo, o ancora G. Anders, L’uomo è antiquato I e II)

Autori

  • Gianluca Fuser & Daniel Gianatti

    Daniel Gianatti, Laureato Magistrale in Scienze Filosofiche all’Università degli Studi di Milano, costruisce dentro e fuori il pensiero filosofico. Logico, feroce, le sa tutte. Non lo cogli in fallo, soprattutto sulla modernità. Gianluca Fuser, Laureato in Scienze Filosofiche all’Università degli Studi di Milano e manager. Scrive appunti sul rapporto tra scienze, tecnologie e morale anche quando pedala come un pazzo, la domenica mattina. A volte dice di lavorare.

  • Daniel Gianatti

    Laureato Magistrale in Scienze Filosofiche all’Università degli Studi di Milano, costruisce dentro e fuori il pensiero filosofico. Logico, feroce, le sa tutte. Non lo cogli in fallo. Soprattutto sulla modernità.

  • Gianluca Fuser

    Laureato in Scienze Filosofiche all’Università degli Studi di Milano e manager. Scrive appunti sul rapporto tra scienze, tecnologie e morale anche quando pedala come un pazzo, la domenica mattina. A volte dice di lavorare.

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