1. Confini

La patria ci vuole consumatori più che soldati. Le ragioni del liberalismo economico tengono lontana la guerra dall’Europa occidentale da decenni, per cui l’inquadramento della categoria di «politico» in termini di questioni economiche ci sembra la strategia più naturale: lo Stato regola i contratti nazionali di lavoro, sovvenziona il sistema pensionistico ed assistenziale, finanzia (in ordine di potenza di fuoco) i servizi di salute, circolazione, sicurezza, formazione. 

Le preoccupazioni che premono sull’assetto concettuale del saggio del 1932 di Carl Schmitt su Il concetto di “politico” sembrano avere un carattere di maggiore urgenza, vista la recisione con cui il discorso fondativo rinvia al potere di distinguere tra nemico e amico. L’argomentazione disloca per analogia la nozione sullo scacchiere dei principi che muovono le altre forme di esperienza essenziali: l’etica è governata dalla distinzione tra buono e cattivo, l’estetica è dominata dalla discriminazione tra bello e brutto, l’economia dalla separazione di redditizio e di inutile. Nessuno di questi criteri è riducibile agli altri: non si può motivare la bellezza appellandosi alla bontà o all’utilità, né la bontà indicandone la bellezza o l’utilità. Allo stesso modo non si può giustificare la decisione su l’inimicizia attraverso l’esibizione della bruttezza o della cattiveria dell’avversario: queste tattiche riguardano la persuasione, con una mossa che si compie sul piano della propaganda o della psicologia, ma non concernono la logica fondativa. Le sole qualità proprie del nemico sono la sua collocazione all’esterno dello Stato, con una prospettiva di guerra tra eserciti, o la sua posizione di ostilità interna, in uno scenario di guerra civile. Il politico si trova sulla linea di confine tra nemico e amico, nel punto di indistinzione in cui si assume una decisione che li separa di netto, senza alcun rinvio di responsabilità su altre categorie di legittimazione. 

Schmitt è un giurista, e avverte la necessità di soffocare la rivolta dell’ambiguità e delle interpretazioni eversive che ne potrebbero derivare: il suo pensiero è sempre alla ricerca di una definizione tracciata dal passaggio al limite del concetto, con una tensione che lo conduca al contatto, persino allo scontro, con i suoi confini. Il saggio del 1922 sulla Definizione della sovranità esordisce con un lapidario: «sovrano è chi decide sullo stato di eccezione», chi ha il potere di sospendere il diritto vigente nella sua totalità. La soglia che qui viene annessa alla riflessione è quella stessa che separa il diritto dallo stato di natura, perché non rinvia ad altra legittimazione precedente se non il suo essere la decisione che istituisce il diritto. La violenza di questa chiarezza concettuale è sollevata da una ragione storica che Schmitt ricostruisce ne Il nomos della terra (1950). Lo Stato moderno, come ambito di vigenza del diritto e manifestazione del politico, sorge con la pace di Westfalia alla conclusione di decenni di guerre di religione: la chiusura dei confini nazionali rispetto all’universalità dell’impero e della cristianità, il riferimento ad una sovranità centrale, annientano qualunque tipo di conflitto in cui l’avversario debba essere distrutto per un mandato trascendente di «guerra giusta», che lo identifichi come infedele o traditore del patto feudale. Anche Hobbes nel 1651 soffoca la dimensione della società in quella della politica statale, e affida il monopolio della violenza al Leviatano: investe di un’autorità assoluta il sovrano, pur di evitare il rischio della disintegrazione della civiltà nella minaccia di una guerra animata dall’arbitrio della coscienza religiosa, senza limiti di spazio e di tempo. 

2. Il nemico legittimo

All’interno dello Stato i rapporti tra i cittadini sono pacificati e regolati dal diritto; le relazioni tra gli stati non sono invece sancite da un principio di legittimità universale, come poteva essere l’appartenenza alla comunità cristiana, ma sono definite dagli accordi tra i sovrani. La decisione sul nemico e l’amico si stabilisce nella costruzione di questo nuovo equilibrio guidato dalla ragion di Stato, il concerto delle nazioni. Alla nozione di «guerra giusta» contro l’infedele si sostituisce quella di «justus hostis», individuato dalla sovranità legittima che si oppone con un esercito all’occupazione militare. Lo Jus Publicum Europaeum è il sistema di accordi su cui si organizza il primo diritto internazionale, in cui si prevede che il conflitto possa condurre ad una sostituzione dell’autorità politica legittima nel territorio invaso, senza che questo evento modifichi le condizioni di diritto privato e penale vigenti. La violenza si scatena tra le truppe, ma non coinvolge i civili né le loro proprietà, la cui sopravvivenza viene garantita dal nuovo sovrano.

La belligeranza tra gentlemen è valida fino alla Amity Line che corre nell’Oceano Atlantico lungo il meridiano delle Azzorre, e al Tropico del Cancro. Oltre questi limiti, irrompe di nuovo la legge del più forte, secondo la quale il pirata ha diritto di possesso su qualunque cosa che il suo coraggio riesca a mettergli tra le mani. Nello stato di natura lo sterminio e la schiavitù non sono interdetti da nessuna forma di diritto né dai veti del common feeling civile.

3. La fine della guerra

La guerra è formalizzata da una dichiarazione tra Stati di pari legittimità, e si conclude con un trattato di pace nelle cui clausole è sempre prevista un’amnistia generale. Già nel 1932 è chiaro a Schmitt che questi istituti si sono incrinati, e che il declino è parallelo alla rimozione dallo Stato del monopolio sul politico. Lo Jus Publicum Europaeum appartiene al diritto, che a sua volta è iscritto nel nomos della terra, nell’insediamento, nell’organizzazione e nella suddivisione dei territori. Nella Seconda Guerra Mondiale lo scontro si è esteso agli spazi del mare e a quelli dell’aria, e ha coinvolto con i bombardamenti i civili e le loro proprietà. La frattura dal campo concettuale del conflitto classico tra nazioni europee è già sancito dall’appello del regime nazista ad una «guerra giusta» contro le etnie e le culture degenerate: il «nemico legittimo» è stato rimpiazzato da una motivazione escatologica per la chiamata alle armi – dalla lotta in difesa della porzione di umanità che incarna una «vita degna di essere vissuta», contro la contaminazione da parte delle razze decadute o minorate. Il mandato salvifico di una guerra che promette al rango eccellente dell’umanità un destino di dominio sul mondo trascende la dimensione del politico, e autorizza la violazione da parte della Germania della neutralità del Belgio e il disconoscimento dei trattati internazionali; a sua volta, la minaccia della barbarie nazifascista legittima la distruzione a tappeto delle città nemiche da parte degli Alleati. La guerra degli eserciti è terminata, comincia una nuova epoca di completa eliminazione fisica dell’avversario in quanto etnia, popolazione, classe, fazione terrorista, setta religiosa, nemica dell’umanità

Nell’approfondimento del 1938 (Il concetto discriminatorio di guerra) Schmitt descrive le ambiguità che nella costituzione della Società delle Nazioni del 1919 hanno favorito la trasformazione – la fine – della guerra. L’organizzazione internazionale è sorta con l’obiettivo di impedire lo sviluppo di ogni conflitto futuro. Il primo errore è stato quello di convertire un istituto politico, qual era la guerra nell’ambito dello Jus Publicum Europaeum, in un crimine contro l’umanità: questo gesto sostituisce alla figura regolata del «nemico legittimo» un avversario che si inquadra come pirata, mostro, canaglia o terrorista, privo di qualunque inquadramento di diritto. L’Amity Line retrocede nel cuore del Vecchio Continente, senza più essere in grado di proteggere la civiltà dall’assalto dello stato di natura, con il carico di distruzione che la legge del più forte comporta. 

In secondo luogo, la Società delle Nazioni si incarica di un mandato universale, sovranazionale, con un organismo però composto da Stati e dominato dai loro specifici interessi. L’effetto è che se la guerra non è più autorizzata, non sono formalizzabili i suoi confini di inizio e di termine, non è definito il suo statuto. Ogni conflitto degenera in guerriglia, le missioni di pace proteggono l’umanità sterminando i criminali casa per casa, sedando l’eversione internazionale con massacri di città e villaggi senza il veto della percezione di un limite. Come insegnano i supereroi, quando l’umanità è in pericolo diventa legittimo ogni mezzo per metterla in salvo.

L’ONU ha replicato le ambiguità della Società delle Nazioni e le ha estese a livello globale. Alla ragion di Stato è seguita la realpolitik nella versione di Kissinger, che non si fonda sul diritto ma sulla deterrenza, sull’equilibrio delle forze di distruzione globale e dell’informazione che le parti in causa dispongono sulla potenza di fuoco avversaria. La fluidità, priva di nomos, del mare e dell’aria stabilisce ora chi è il nemico, secondo l’opportunità decisa non dal politico, ma dall’economia e dai suoi attori. Le multinazionali dell’industria e della finanza, e ancor più i giganti di internet, non hanno collocazione territoriale, non sono interessati a nessun valore culturale locale, non sviluppano eredità storiche, perseguono un’innovazione che, in quanto programmaticamente disruptive, innesta ovunque e in ciascuno un oblio rivolto al futuro immediato, ad un avvenire senza passato e senza identità, che deve rivoluzionarsi ad ogni istante secondo l’aria che tira al momento. La patria globale ora ci vuole tutti consumatori, e secondo l’occasione e l’opportunità homines hominibus lupi.

Autore

  • Paolo Bottazzini

    laureato in filosofia, si occupa di media digitali dal 1999: è co-fondatore di Pquod e SocialGraph, società specializzate nella comunicazione web e nell’analisi di dati. Parallelamente ha svolto attività di docenza sui temi della comunicazione digitale per il Politecnico di Milano, per il Corep presso il Politecnico di Torino, per il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano. Descrive i modelli cognitivi emergenti dai nuovi media nella monografia pubblicata nel 2010: Googlecrazia. Dal febbraio 2011 testimonia la loro evoluzione negli articoli pubblicati sulle testate Linkiesta, pagina99, Gli Stati Generali.