Questo articolo ci è stato gentilmente concesso da Antonino Drago, Professore Ordinario di Storia della Fisica (in pensione) presso l’Università Federico II di Napoli, membro della rete Transcend di Galtung e primo presidente del Comitato ministeriale per la Difesa civile non armata e nonviolenta. Nel suo percorso, il professor Drago analizza il rapporto tra i fisici e l’etica, prima e dopo “la bomba”, e i diversi atteggiamenti e strategie che i fisici hanno adottato – e ancora adottano – di fronte ai problemi etici che il lavoro può generare. Pubblichiamo l’articolo in tre “puntate”, l’ultima delle quali uscirà i concomitanza ad un seminario, organizzato da Controversie, in cui interverrà lo stesso professor Drago.

1.  Introduzione

Il progresso tecnologico ha reso sempre più artificiale la vita quotidiana dell’essere umano. Se in passato l’etica era chiara, l’introduzione di oggetti artificiali che pervadono anche la vita intima di una persona ha generato innumerevoli dilemmi etici le cui risposte non sono codificate da alcuna autorità, se non dal modo comune e corrente di vivere le nuove situazioni. Ma questa etica ha incontrato grandi pericoli senza precedenti. Tra questi il pericolo dell’autodistruzione dell’umanità, già previsto dopo il bombardamento delle due città giapponesi, Hiroshima e Nagasaki. Questo impressionante pericolo ha messo in discussione l’etica dell’intera popolazione mondiale, ma in primo luogo la coscienza dei fisici che hanno contribuito a costruire armi così catastrofiche. Dopo questo, altri pericoli simili sono stati generati dal continuo progresso della scienza e della tecnologia. Ogni volta che sorge un nuovo pericolo, la popolazione e i suoi leader cercano le migliori risposte personali e soluzioni globali per quel caso particolare, partendo da zero perché manca un organismo etico globale. È quindi importante riflettere sulle risposte etiche dei diretti responsabili, i fisici, e delle istituzioni politiche al primo grande pericolo, quello nucleare.

Questa esperienza storica può suggerire molte lezioni su come affrontare le successive e le prossime. Innanzitutto, insegna che gli scienziati non sono esseri sovrumani, sebbene abbiano studiato e applicato una materia quasi incomprensibile, la scienza e, in particolare, la fisica; ma hanno problemi etici paragonabili a quelli dei profani e inoltre possono essere anche più deboli in materia di etica rispetto alla gente comune. Pertanto, per quanto riguarda i problemi etici, la popolazione deve evitare un rispetto reverenziale per una categoria sociale che spesso si presenta come illuminata e superintelligente. Deve piuttosto instaurare forti relazioni con gli esperti al fine di suggerire soluzioni comuni ai problemi etici generati dalla ricerca scientifica.

2. I fisici, l’etica e la nascita delle armi nucleari

L’opinione diffusa tra i fisici sul proprio lavoro è che esso non riguardi l’etica; essi amano dedicarsi alle loro affascinanti ricerche. Questa valutazione deriva da una visione rousseauiana della ricerca scientifica, secondo la quale essa è intrinsecamente buona e il male possibile proviene dalla società.

Robert Merton (Merton 1938; Merton 1973) descrive l’etica degli scienziati come caratterizzata da quattro imperativi interconnessi: universalismo, comunismo (tra scienziati), disinteresse e dubbio sistematico. La loro etica è legata a uno spirito tradizionalmente religioso, tanto da essere definita un’etica puritana.

Ma la società non è una semplice somma di individui; essa comprende anche le istituzioni sociali. Tenendo conto di quest’ultimo punto di vista, Max Weber (1918) distingue due tipi di etica: quella a livello personale, l’etica della convinzione, che è l’etica che ogni uomo riceve dalle sue convinzioni personali, e l’etica della responsabilità, un’etica i cui primi obblighi sono quelli prescritti dall’istituzione sociale a cui si appartiene (se considerata in senso negativo, questa etica è chiamata etica machiavellica).1

Entrambi gli autori considerano la ricerca scientifica un’impresa eticamente positiva, perché rappresenta in termini razionali il progresso dell’umanità. Inoltre, Weber descrive la modernità come un processo di razionalizzazione secolare, promosso principalmente dal progresso scientifico; quindi, l’etica del ruolo professionale di uno scienziato è la più positiva possibile, poiché promuove direttamente la razionalità all’interno della vita sociale. Di fatto, la maggior parte degli scienziati antepone la propria razionalità alla propria etica.

Tuttavia, una valutazione della scienza deve innanzitutto separare la scienza pura dalla scienza applicata. La scienza pura, essendo il risultato diretto della ragione umana, dà solo beni, a parte alcuni suoi risultati, ottenuti con metodi inappropriati o maliziosi; il compito di evitarli è un onere che non spetta agli scienziati, ma ai governi.

Nel XX secolo diverse e potenti istituzioni hanno interagito con gli scienziati. Ad esempio, già l’evento della prima guerra mondiale ha spinto alcuni scienziati a intervenire pubblicamente secondo la loro etica di responsabilità nei confronti dei propri Stati.2 Nella seconda guerra mondiale gli scienziati, su richiesta dello Stato, hanno accettato di lavorare in una gigantesca impresa militare a favore dei nazisti (in Germania e Giappone) e contro di essi (al di fuori della Germania). Sono entrati improvvisamente in un’impresa patriottica abbracciando le motivazioni dello Stato in guerra. Negli Stati Uniti il Progetto Manhattan 1939-1947 (Jungk 1958; Rhodes 1986) mirava a costruire la prima arma nucleare con un budget di 2 miliardi di dollari. L’obiettivo politico dell’impresa era quello di creare una politica internazionale di deterrenza attraverso la costruzione di un’arma che avesse una capacità distruttiva senza precedenti, in grado di annientare una grande popolazione. La razionalità degli scienziati li portò a sperare in una politica governativa razionale, durante e dopo la guerra. Il progetto riunì 130.000 lavoratori, tra cui migliaia di scienziati, anche i più eminenti al mondo (ad esempio Fermi, Oppenheimer, Bohr, Szilard, ecc.). Questi fisici accettarono di lavorare collettivamente in un’impresa diretta dai militari; accettarono inoltre il segreto militare e una vita segreta.
Il Progetto Manhattan ha cambiato bruscamente la storia degli scienziati, della ricerca scientifica e dell’umanità. Come sono cambiate le caratteristiche dell’etica degli scienziati? Come è cambiata la separazione tra scienza pura e scienza applicata?
In seguito, inaspettatamente, gli scienziati hanno dovuto affrontare nuovi problemi etici. Dopo che questo progetto si è rivelato un successo (test di Alamagordo, 16 luglio 1945), una controversia sull’uso di armi terrificanti ha diviso il gruppo di scienziati del Progetto Manhattan. Si doveva distruggere un’intera città con un’arma nucleare o no? Questo atto è sicuramente vietato sia dall’etica di convinzione degli scienziati che dal diritto di guerra; è tuttavia consentito dall’etica della responsabilità degli scienziati rispetto alla ricerca scientifica o all’etica della difesa degli Stati democratici contro i nazisti?
Pochi anni dopo iniziò una corsa agli armamenti nucleari. Essa coinvolse un numero sempre maggiore di scienziati in lavori professionali nei laboratori militari. Riguardo all’etica della responsabilità, la decisione di sostenere questa corsa agli armamenti era una decisione corretta o no? Dopo il Progetto Manhattan, la ricerca scientifica, come “una gallina dalle uova d’oro”, continuò a ricevere dai governi ingenti finanziamenti, diventando così un’impresa colossale. In che misura una tale crescita quantitativa della scienza ha danneggiato la sua crescita qualitativa? Gli scienziati istituzionalizzati sono rimasti capaci di giudizi indipendenti? La scienza era ancora la forza motrice neutrale del progresso dell’umanità, o no? Gli scienziati erano ancora un gruppo sociale razionale e disinteressato che vegliava sul benessere dell’umanità, o il potere politico aveva subordinato il processo di razionalizzazione della vita sociale da parte degli scienziati a interessi particolari? Inoltre, dopo il Progetto Manhattan, ad altri scienziati è stato chiesto di diventare consulenti dei governi in materia di corsa agli armamenti, ovvero di suggerire i migliori miglioramenti tecnologici per un arsenale nucleare sempre più potente. Hanno promosso la pace internazionale o hanno piuttosto accettato di diventare servitori tecnici di una particolare potenza militare?3

3. Come gli eventi nucleari hanno cambiato l’etica dei fisici

Consideriamo ora l’etica professionale dello scienziato, ovvero l’etica del ruolo che egli svolge all’interno della sua istituzione e più in generale nella società. Per rispondere agli eventi eccezionali del periodo bellico, molti scienziati, in nome della loro etica della responsabilità, hanno aderito al Progetto Manhattan. Ma in questo modo hanno cancellato la distinzione tra scienza pura e scienza applicata. Inoltre, hanno accettato di essere organizzati collettivamente come in una fabbrica; è stata la nascita della “grande scienza”, dove il lavoro di uno scienziato non era più simile a quello di un artigiano, ma a una particolare ruota di un grande meccanismo fortemente legato allo Stato (De Solla Price 1963).

Inoltre, inventando e costruendo tali armi, hanno negato le caratteristiche fondamentali dell’etica mertoniana dello scienziato, poiché hanno rinunciato a i) l’universalità della scienza – hanno abbracciato la particolare politica internazionale (la deterrenza nucleare) dei loro governi; ii) l’atteggiamento comunitarista – hanno accettato una vita segreta che li separava sia dalla società civile che dagli altri scienziati nel mondo; infatti, in ogni paese il gruppo di scienziati si è lanciato in una cinica competizione con i gruppi di scienziati di altri paesi; iii) il disinteresse – gli scienziati hanno dedicato tutti i loro sforzi al raggiungimento di un obiettivo militare di un governo che li finanziava massicciamente; iv) il dubbio sistematico – non avevano alcun dubbio sulle questioni politiche della loro impresa; anche quegli scienziati che avvertivano il pubblico del pericolo nucleare volevano comunicare verità assolute. Pertanto, il modello etico di Merton dello scienziato individuale non era più adeguato a rappresentare l’etica degli scienziati del secondo dopoguerra (Vadacchino 2002).

Inoltre, la nascita della grande scienza ha trasformato la loro etica della responsabilità da quella di un piccolo gruppo o di un laboratorio a quella di un’impresa sociale; ora dovevano rispondere a grandi istituzioni sociali (vedi ad esempio Weisskopf 1983). L’etica della responsabilità di uno scienziato che perseguiva questa impresa tendeva a mettere a tacere l’etica dei principi.

Weber aveva previsto anche un possibile risultato negativo del processo di razionalizzazione nella società: l’uomo poteva essere rinchiuso in una “gabbia di ferro” (1930, p. 181). La costruzione di armi nucleari ha portato l’umanità al risultato peggiore. Dopo la sperimentazione delle armi nucleari sulle città giapponesi, era evidente a tutti che la distruzione dell’umanità era possibile. Questa possibile distruzione ha rappresentato per la prima volta un’assurdità dell’etica della responsabilità di uno scienziato. Era manifestamente assurdo che questo tipo di etica potesse ammettere una distruzione che coinvolgesse anche l’istituzione sociale (la ricerca scientifica) che prescrive questo tipo di responsabilità. Inoltre, era assurdo che il processo di razionalizzazione durato molti secoli potesse ammettere, attraverso la fine dell’umanità, la fine del processo di razionalizzazione stesso. Ogni essere umano dotato di ragione deve ammettere queste assurdità.4 Queste due assurdità hanno suggerito ancora una volta in modo sorprendente l’etica della convinzione, il cui principio fondamentale – non uccidere mai – è apparso ancora una volta saggio nel consigliare che le conseguenze a lungo termine dell’uccisione possono essere imprevedibili.

4. L’acquiescenza collettiva di gran parte dei fisici alla nuova situazione etica

Durante il Progetto Manhattan l’unico problema di alcuni scienziati era di natura individuale: liberarsi dal segreto militare. Consideriamo la risposta di Edward Teller all’appello di Leo Szilàrd (Petizione Szilàrd 1945) contro la pianificazione di un bombardamento nucleare sulle città giapponesi:
Questa è l’unica causa per la quale mi sento in diritto di fare qualcosa: la necessità di sollevare il segreto [militare] almeno per quanto riguarda le questioni generali del nostro lavoro. A mio avviso, ciò avverrà non appena la situazione militare lo consentirà. (Teller 1945)
In altri termini, il primo e unico obiettivo di Teller era quello di riconquistare l’universalità della sua ricerca scientifica; egli si sentiva responsabile solo della libera ricerca scientifica.
Dopo il Progetto Manhattan, il reclutamento di scienziati per il lavoro militare è cresciuto notevolmente senza ostacoli (ad eccezione degli anni intorno al 1968).5 L’opinione comune dei fisici riguardo agli scienziati che lavorano nei laboratori militari è stata espressa pubblicamente dal segretario italiano dell’USPID (Unione Scientifica Italiana per il Disarmo):
Chi è coinvolto nei processi di progettazione, costruzione e modernizzazione delle armi a difesa del proprio Paese non è necessariamente un guerrafondaio. Infatti, o si riesce a invertire l’intero meccanismo, oppure non è concepibile che, fintanto che la sicurezza [nazionale] è legata al potere militare, sia possibile fermare questo volano della modernizzazione e dell’arricchimento degli arsenali nucleari (Lenci 2003).

 

 

NOTE:

1 Ricordiamo che la rivoluzione francese fu promossa e sostenuta da un gran numero di scienziati dell’epoca. Secondo il sociologo Ben-David (1971), la subordinazione degli scienziati al potere politico è iniziata dopo il fallimento di questa rivoluzione. Fu la borghesia emergente a introdurre il curriculum formale nelle università come unico percorso corretto per accedere al mondo della scienza, ovvero la carriera universitaria come unico percorso per essere riconosciuti come scienziati da una “comunità di pari scienziati”, le società scientifiche (la prima delle quali fu la British Association for the Advancement of Science, fondata nel 1830) e il controllo della ricerca universitaria attraverso i suoi finanziamenti.

2 Si veda l’aberrante manifesto dei 93 scienziati a sostegno della proposta di guerra della Germania (Manifesto dei Novantatre, 1914).

3 Queste questioni sono già state presentate in (Drago, Salio 1983) e (Drago 1985). Naturalmente, i problemi di cui sopra si applicano solo agli scienziati occidentali, poiché gli scienziati dell’URSS erano costretti a partecipare a una politica generale che pretendeva di compiere un salto storico verso una nuova era per l’intera umanità, ottenuta grazie al progresso scientifico dell’URSS. Pertanto, in questi scienziati l’etica della responsabilità rispetto alla loro ricerca scientifica era identificata con l’etica della responsabilità rispetto alla politica del governo. Solo il fisico Kapitza si oppose alla costruzione di armi nucleari da parte dell’URSS. (Jungk 1958, cap. XV, sez. IV).

4 Qualche anno dopo Jonas (1978) teorizzò una nuova etica basata sull’imperativo di evitare questa assurdità. (Drago 2010) presentò un’etica più generale.

5 Successivamente, nel 1983, un’analisi accurata di tutti i contratti militari negli Stati Uniti ha dato come risultato che il 48±4% di tutti i fisici lavorava nella ricerca militare (Woollett 1983).

 

 

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Autore

  • Nato nel 1938, laureato in Fisica presso l’Università di Pisa, ha insegnato Storia della Fisica a Napoli, in diversi corsi di specializzazione e alla SICSI, Strategie della difesa popolare nonviolenta e Tecniche della nonviolenza nei corsi di laurea di Scienze per la Pace dell’Università di Pisa e di Operazioni di Pace dell’Università di Firenze. Membro della rete Transcend di Galtung. Primo presidente del Comitato ministeriale per la Difesa civile non armata e nonviolenta. Ordinario di Storia della Fisica (in pensione) presso l’Università Federico II di Napoli

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