Per Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) non furono erette statue o monumenti. Pochi, anzi pochissimi, parteciparono al suo funerale, benché fosse stato per tutta la vita vicino agli alti vertici dei nascenti stati nazione, e sebbene per decenni avesse svolto l’incarico di storico dell’allora casata di Hannover. Dieci anni più tardi, la morte di Isaac Newton (1642-1726) sortì tutt’altra reazione: al funerale presenziò persino Voltaire, poco più che trentenne, e che di lì a pochi anni avrebbe scritto gli Elements de la philosophie di Newton (1738), diventando, al ritorno dal suo esilio in Inghilterra,1 il principale divulgatore del pensiero newtoniano sul continente. Cinquant’anni più tardi l’architetto francese Étienne-Louis Boullée (1728-1799) realizzò in onore di Newton i sei disegni del fantaprogetto del cenotafio. Con l’obbiettivo di «donare a Newton l’immortale luogo di riposo, il paradiso»,2 Boullée progettò una colossale cupola alta circa centocinquanta metri adagiata su di una zona d’appoggio adornata d’alberi perfettamente allineati, impossibile da realizzare tecnicamente.
L’accesa rivalità tra due dei più eminenti filosofi e scienziati del proprio tempo è stata spesso semplificata e ridimensionata a una mera contesa. Il che ha comportato la riduzione del problema al solo tentativo di stabilire chi dei due sia giunto per primo alla formalizzazione del calcolo infinitesimale. La morte e i funerali a volte bastano per dichiarare un vinto e un vincitore. Lo scontro tra nazioni – e la correlata tendenza a prendere posizione da una parte o dell’altra dello stretto di Dover, e dunque a stare con Parigi o con Londra – ha ulteriormente alimentato tali opposizioni riduttive.
Dopo più di un millennio in cui il calcolo della superficie e del perimetro di figure curve si era accontentato dell’antico metodo d’esaustione, e dopo i primi vagiti di una nuova matematica che aveva preso forza a cavallo tra il sedicesimo e diciassettesimo secolo, Leibniz e Newton rappresentarono per l’Europa d’allora gli inventori dell’ analisi infinitesimale che permetteva, a partire dalla curva, il calcolo dell’ «equazione tangente e il valore della sua curvatura in un punto generico, […] la tangente, massimi e minimi»3 tramite ciò che Leibniz chiamò «rapporto differenziale» e Newton «calcolo delle flussioni».
In effetti, tra i due ci fu una contesa circa la paternità del calcolo. Il filosofo di Lipsia sosteneva di aver sviluppato il fulcro delle proprie scoperte ben prima dell’inglese, mentre quest’ultimo affermava di aver consegnato al tedesco una lettera, passata tra le mani dell’amico in comune Oldenburg, dove per la prima volta dimostrava le proprie scoperte.4 Mentre Newton aveva sviluppato il grosso della propria teoria già nel 1669, Leibniz iniziò ad ottenere dei risultati non prima del 1672, pubblicando le prime scoperte nel 1676. Nel 1711, per dirimere la disputa, fu chiamata in causa come parte giudicante la Royal Society, di cui lo stesso Newton era Barone dal 1715. Ne risultarono il Commercium epistolicum (1715) e la Recensio Libri, quest’ultima pubblicata anonimamente ma scritta con ogni probabilità dal fisico inglese, e in cui si condannava definitivamente Leibniz sotto gli occhi di tutto il mondo accademico del tempo.5 Newton, si diceva, aveva inventato il nuovo calcolo infinitesimale.
Riannodiamo i fili, la disputa tra Leibniz e Newton fu, semplicemente, una contesa? La sociologia delle scienze e delle tecnologie ci ha recentemente fornito un’interpretazione originale del concetto di controversia.6 Rivolgiamolo dunque al nostro caso. Ciò che accadde tra Leibniz e Newton fu una contesa o una controversia? Cambia qualcosa?
L’indicazione di Enrico Giusti è rivelatrice: «chi legge i documenti relativi alla disputa fra Leibniz e Newton circa l’invenzione del calcolo infinitesimale, […] ha l’impressione che si stia svolgendo un dialogo tra sordi».7 Non tanto perché i due non si siano voluti ascoltare, il che trasformerebbe nuovamente l’evento in una contesa. Per quanto comunichino e si attacchino, essi non paiono disquisire del medesimo oggetto. Il problema non è certo che «non si è mai capaci di parlare della stessa cosa». Piuttosto, ricostruendo il nugolo di considerazioni intorno al «calcolo infinitesimale» nell’uno e nell’altro autore, e al di là della disputa ufficiale, non ci troviamo più davanti a due oggetti simili che, in fondo, sono conciliabili. Simili – scrive sempre Giusti – «ma irrimediabilmente diversi».8
Se a parità di calcolo le due formulazioni restituiscono risultati pratici sostanzialmente sovrapponibili – dunque a parità di esattezza matematica – concettualmente sono in aspro contrasto, se non addirittura incompatibili. Finché ci si focalizza soltanto nello stabilire la paternità del calcolo, tutta la questione appare come una semplice contesa. Questa peculiarità del concetto di controversia è stata forse sottostimata: perché non ci sia controversia, basta non porsi la questione. Altro lato della medaglia: perché non ci sia controversia, basta ridurla a una contesa, alla morte dell’uno e al trionfo dell’altro, come d’altronde si premurò di fare l’esegesi illuminista che aveva infervorato Voltaire e Boullée, e che avrebbe spinto Immanuel Kant (1724-1804) a essere molto più newtoniano che leibniziano.
Ciò detto, rimane da risolvere il problema inverso. Supposto che una controversia possa differire da una contesa, bisognerà stabilire il senso di questa differenza. Se tra Leibniz e Newton avvenne una contesa, ci riduciamo a determinare storicamente chi è giunto per primo a ciò che chiamiamo «analisi infinitesimale». Il modo della relazione è già definito, ciò che resta da stabilire è unicamente la priorità cronologica di un attore sull’altro. Se, diversamente, tra i due ci fu una controversia – e qui ci viene in soccorso l’etimo della parola – ciò che v’è da stabilire è proprio il modo della relazione dell’uno e dell’altro: in una contesa ci si muove verso l’oggetto comune, in una controversia il moto è appunto «contrario» l’uno rispetto all’altro, per «versi» differenti. Ecco una seconda peculiarità: se il concetto di contesa è fin troppo generalizzabile – tutto può diventare contesa -, il concetto di controversia sembra perdere qualcosa di vitale laddove dovesse venire generalizzato. Una relazione già definita, come quella di contesa, è ipso facto generalizzabile. Al contrario, laddove si debba ancora definire il modo della relazione, non c’è alcunché di generalizzabile, se non tramite una semplice accezione negativa. Infatti, propriamente parlando, che si dica che due elementi sono in rapporto di controversia, è affermare che non è definito il modo di quel rapporto di direzione contraria dell’uno rispetto all’altro.
Torniamo dunque ai contendenti. Dei due, Leibniz è meno ambiguo sul posizionamento generale del calcolo all’interno del suo più ampio sistema di pensiero. Come hanno mostrato Gilles Deleuze ne La piega (1988) e Michel Serres nei due tomi de Le système de Leibniz et ses modèles mathématiques (1968), il rapporto differenziale dx/dy in combinazione con alcune considerazioni circa le serie convergenti, ossia tendenti verso un limite comune, rappresentano due principi ineliminabili dell’intero sistema matematico-metafisico del filosofo tedesco. A tal proposito, Ludovico Geymonat ha sostenuto, nel suo corso sulla Storia e filosofia del calcolo infinitesimale (1946-1947), che «mentre in Newton l’invenzione del calcolo infinitesimale fu dettata da preoccupazione essenzialmente tecniche, in Leibniz invece essa scaturì da considerazioni essenzialmente filosofiche».9 Il tedesco immaginava un fuscum subnigrum animato e in constante variazione. L’ha ripetuto Michel Serres nel Parassita, «il rumore di fondo è il fondo dell’essere».10 La monade è imperscrutabile qualora non considerassimo ciò che ha rimarcato Deleuze, se «le monadi non hanno finestre, attraverso le quali qualcosa possa entrare o uscire»,11 come recita la famosa VII proposizione de La monadologia, è perché tra monade e mondo c’è un rapporto di rispecchiamento reso possibile proprio dalle considerazioni di Leibniz circa il rapporto differenziale. Il calcolo di Leibniz – scrive sempre Deleuze – è inseparabile da un’anima: se il mondo è una serie infinitamente infinita di cui la monade è l’inversa, la coscienza funziona per integrazione di rapporti differenziali. Se un’infinita schiera di piccole percezioni inconsce si integrano tra di loro – ossia entrano in un rapporto differenziale convergente – divengono coscienti.12 Di conseguenza la soglia della coscienza non è l’effetto di un rapporto differenziale, bensì è il rapporto stesso, un «ripiegamento del mondo», una piega, o come annotava Leibniz nei Principi razionali della natura e della grazia «se fosse possibile dispiegare tutte le pieghe dell’anima, le quali tuttavia si esplicano in maniera evidente solo nel tempo, si potrebbe conoscere la bellezza dell’universo in ciascuna anima. Infatti ogni percezione distinta dell’anima contiene un’infinità di percezioni confuse che implicano tutto l’universo».13
Che dire di Newton? L’analisi infinitesimale ha una posizione ambigua. Se da un lato Newton sostenne sempre la finalità pratica del calcolo, e dunque la parziale estraneità dello strumento rispetto al reale, una ricognizione di ciò che scrisse in fatto di teologia e fisica[14] – caso paradigmatico è lo scolio generale che chiude i Principia[15] – rivela, in fondo, il tentativo di armonizzare la realtà stessa a quello che doveva essere un semplice «calcolo pratico». Insomma, diversamente da come si è ripetuto fino allo sfinimento, e a partire dalle accuse di oscurantismo e filosofeggiamenti che Newton mosse a Leibniz,16 chi dei due sia stato il vero empirico è tutto da vedere. Per riassumere nel modo più contratto la differenza sostanziale, si potrebbe affermare che mentre il sistema di Leibniz, inteso come immagine del reale, postula l’infinito in actu, implicato, come ragion sufficiente del sistema stesso, la teoria di Newton, rappresentazione della realtà-pratica, ostracizza l’infinito a favore dell’atomo e delle quantità «infinitamente piccole» che, tuttavia, rimangono «estese».17 Quello dell’inglese è un calcolo di flussioni, ossia dei movimenti di un punto per grandezze infinitamente piccole. E tuttavia, quest’ultimo sarà obbligato a reintrodurre ciò che aveva precedentemente escluso, così che il materialismo atomistico affermato con tanta dissimulata leggiadria venga calmierato reintroducendo un finalismo che ne giustifichi l’unità di base. Lo chiamerà Dio poiché, come confidava in una lettera a Bentley, «il materialismo granulare non potrebbe in alcun modo ‘trasformare il caos in un cosmo’». Per Leibniz, contrariamente, l’atomismo scevro d’infinito è una semplice «debolezza dell’immaginazione»:18 dev’esserci, in fondo, un punto animato. Come ha scritto il sociologo Gabriel Tarde in Monadologia e sociologia (1895), «perfino nella parte solida, se la conoscessimo meglio, dovremmo eliminare quasi tutto. E così di eliminazione in eliminazione, dove arriveremo mai, se non al punto geometrico, cioè al punto nullo, a meno che questo punto non sia un centro?»[19]
NOTE
1 Com’è noto la figura di Pangloss, maestro filosofico di Candido, è una parodia del pensiero di Leibniz. Come si legge in “Candido o l’ottimismo” in Voltaire, Vol. II, tr. it. P. Angioletti, e M. Grasso, RBA, Milano 2017, p. 216, Pangloss, insegnante di «metafisico-teologo-comolonigologia provava in modo ammirevole come non potesse esistere effetto senza causa, e come nel migliore dei mondi possibili il castello del monsignor barone fosse il più bello dei castelli, e la signora la migliore di tutte le baronesse».
2 Da Etienne-Louis Boullée, Architecture: Essai sur l’Art , trans. Sheila de Vallée, in Helen Rosenau, Boullée and Visionary Architecture (London: 1976) in P. L. Ricci, Lux et tenebris: Etienne-Louis Boulé’s Cenotaph for Sir Isaac Newton.
3 L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico. scientifico, Vol. II, Garzanti editore, Milano 1970, p. 378.
4 Si veda il recentemente ripubblicato Disputa Leibniz-Newton sull’analisi, a cura di G. Cantelli, Bollati Boringhieri editore, Torino 2023.
5 Per approfondire la successione cronologica degli eventi si veda A. R. Hall, Philosophers at war, Cambridge University Press, 2009.
6 H. M. Collins, T. Pinch, Il Golem (1993), Dedalo, Bari 1995.
7 E. Giusti, “Introduzione”, in Disputa Leibniz-Newton sull’analisi, cit., XIII
8 Ibidem.
9 L. Geymonat, Storia e filosofia dell’analisi infinitesimale, Bollati Boringhieri editore, Torino 2008, p. 141.
10 M. Serres, Il Parassita (1980), Mimesis edizioni, Milano 2022, p. 77.
[11] G. W. Leibniz, Monadologia, Bompiani editore, Milano 2017, §7, p. 61.
12 Per il rapporto tra coscienza e inconscio differenziale si veda il capitolo VII, “La percezione nelle pieghe” in G. Deleuze, La piega (1988), Giulio Einaudi editore, Torino 2004, pp. 139-162.
13 Ivi, “Principi razionali della natura e della grazia”, §13, p. 51.
14 Si veda I. Newton, Trattato sull’apocalisse, a cura di M. Mamiani, Bollati Boringhieri editore, Torino 2022.
15 Geymonat ne parla in Storia del pensiero filosofico e scientifico, Vol. II, Garzanti editore, Milano 1970, p. 524.
16 Scriveva Newton ne lo Scolio, «infatti qualsiasi cosa non si riesca a dedurre dai fenomeni, deve chiamarsi ipotesi; e tutte le ipotesi, siano esse della metafisica, della fisica, della meccanica o delle qualità occulte, non hanno posto nella filosofia sperimentale». Nelle battute conclusive della recensio libri si legge “Si deve senza dubbio ammettere che fra Newton e Leibniz sussiste un enorme differenza nel modo di trattare la filosofia. Il primo procedere solo fin dove lo conduce l’evidenza dei fenomeni e delle esperienze, […] il secondo è tutto imbevuto di ipotesi, che avanza non già come proposizioni da doversi esaminare con l’esperienza, ma che verità cui si deve credere a occhi chiusi”, Cantelli, p. 80.
17 Scrive Newton nello Scolio generale dei Principia, riportato da L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Vol. II, cit., p. 522, «l’estensione, la durezza, l’impenetrabilità, a mobilità e la forza d’inerzia delle part del tutto nasce dall’estensione, la durezza, l’impenetrabilità, dalla mobilità e dalla forza d’inerzia delle parti: di qui concludiamo che tutte le minime parti di tutti i corpi sono estese e Dre, impenetrabili, mobili, e dotate di forza d’inerzia. E questo è il fondamento dell’intera filosofia»
18 G. W. Leibniz, “Nuovo sistema della natura e della comunicazione delle sostanza e dell’unione tra l’anima e il corpo” (1695), in Scritti Filosofici, vol. I, cit., p. 190, §3.
19 G. Tarde, Tarde, Monadologia e sociologia (1895), tr. it. F. Domenicali, Ombre corte, Verona, 2013, p. 45.
Autore
-
Laureato Magistrale in Scienze Filosofiche all’Università degli Studi di Milano, costruisce dentro e fuori il pensiero filosofico. Logico, feroce, le sa tutte. Non lo cogli in fallo. Soprattutto sulla modernità.