Ci sono almeno due buone ragioni: la prima è che l’economia pretende – e ci riesce – di essere considerata una scienza. E, in quanto scienza, di poter descrivere dei fenomeni, di saperli spiegare e di generare teorie in grado di predire con buona approssimazione come evolveranno i fenomeni di cui si occupa.

I fenomeni sono, in questo caso, quelli macro-economici, su larga scala, come il comportamento aggregato di consumatori e imprese, le politiche economiche di un intero paese o sovranazionali, la crescita economica, l’occupazione e l’andamento dei prezzi1.
Le predizioni possono essere anche volte a formulare indicazioni sulle politiche economiche volte a incrementare la ricchezza delle nazioni nel lungo termine.

La seconda buona ragione per cui parlare di questo Nobel è che l’assegnazione di quest’anno si inquadra all’interno di una storica controversia dell’economia politica: quella tra il modello di J. A. Shumpeter, che attribuisce all’innovazione, tecnica o tecnologica, i salti evolutivi dell’economia e della civiltà, e il modello cosiddetto “commerciale”, ossia quello che ritiene che siano le variazioni della domanda di merci e di servizi2 a guidare l’evoluzione dell’economia.

Come negli sceneggiati3 del Tenente Colombo sveliamo subito chi è l’assassino: il Comitato del Nobel per l’Economia “fa vincere” il modello di Shumpeter, e premia dei ricercatori – economisti e storici dell’economia – che rintracciano nell’innovazione tecnologica le variazioni delle condizioni socio-economiche e che sostengono che l’evoluzione tecnologica – in particolare quella dell’intelligenza artificiale – sarà il più grande vettore di cambiamento economico dei prossimi anni.

PREMIATI E MOTIVAZIONI

I tre ricercatori premiati dall’Accademia delle Scienze svedese sono Joel Mokyr4, Philippe Aghion5 and Peter Howitt6, per

  • «aver spiegato la crescita economica guidata dall’innovazione»7 dalla rivoluzione industriale in poi,
  • «aver identificato i prerequisiti per una crescita sostenuta e continuativa attraverso il progresso tecnologico», quali, per esempio, il fenomeno della rivoluzione industriale e la presenza nella società di una forte apertura a nuove idee e al cambiamento;
  • infine, per «la teoria della crescita sostenuta e continuativa attraverso la distruzione creatrice», supportata da un modello matematico che spiega «ciò che viene chiamato distruzione creatrice: quando un nuovo e migliore prodotto entra nel mercato, le aziende che vendono i prodotti più vecchi ne risultano perdenti. L’innovazione rappresenta qualcosa di nuovo e quindi è creativa. Tuttavia, è anche distruttiva, poiché l’azienda la cui tecnologia diventa obsoleta viene superata dalla concorrenza.»

ALTRE CONTROVERSIE IMPLICITE

Le motivazioni del Nobel sottendono almeno altre quattro controversie.

La prima è quella sul legame tra crescita e benessere. Sembra fuori di dubbio che – in generale – migliori condizioni economiche siano portatrici di maggiore benessere; si pensi, ad esempio, alle condizioni di vita degli abitanti dei Sassi di Matera negli anni ’60, migliorate drammaticamente dagli interventi economici dello Stato italiano negli anni successivi. Tuttavia, che «una crescita economica sostenuta generi [sempre] migliori standard di esistenza, di salute e di qualità della vita per le persone in tutto il mondo» è argomento ancora fortemente dibattuto e fonte di numerose controversie. Ad esempio, se ci si focalizza sulla crescita delle regioni del blocco nord-occidentale del mondo, e la si confronta con gli standard di salute e di qualità della vita del sud dello stesso mondo possono sorgere dei dubbi. Lo stesso vale – senza fare del pauperismo o del bucolicismo – se si paragona la qualità della vita di un piccolo agricoltore dell’appennino centrale con quella di un impiegato della cintura industriale di Milano. È certo che la crescita sia sempre migliore della stasi?

La seconda controversia riguarda la neutralità dello sviluppo tecnologico. Ne abbiamo parlato molto su questa rivista, ed è abbastanza evidente che lo sviluppo tecnologico – che il Comitato Nobel etichetta così: «La tecnologia avanza rapidamente e ha effetti rilevanti su tutti noi, con nuovi prodotti e nuovi processi di produzione che si susseguono e si rimpiazzano l’uno con l’altro in un ciclo senza fine» possa, sì, essere un vettore di crescita economica ma – nello stesso tempo – non sia la panacea di tutti i mali né garantisca la continuità ad libitum della crescita economica. Questo nesso funziona solo – temiamo – se si aderisce all’idea dell’accelerazionismo tecnologico.

La terza controversia è molto più sottile e l’ha ben focalizzata un redattore del quotidiano Il Post, commentando le ricerche dei tre premiati, i quali «sottolineano che l’innovazione, proprio per il processo di distruzione creativa, crea vincitori e sconfitti: non solo a livello di aziende, con alcune che prosperano e altre che falliscono, ma anche a livello di lavoratori, con alcuni che per forza di cose perderanno il lavoro e faranno fatica a ricollocarsi.» L’errore da evitare – dicono i neo-Nobel – è di «impuntarsi a mantenerli dove non c’è più bisogno di loro, disincentivando così l’innovazione: significa proteggere i lavoratori e non i posti di lavoro». Ecco la controversia: l’economia deve salvaguardare i posti di lavoro, ossia il numero di potenziali occupati, la possibilità di collocare al lavoro – anche domani o dopodomani – un lavoratore più adeguato ai tempi, oppure deve salvaguardare i lavoratori di oggi, quelli che la nuova tecnologia mette fuori gioco?

La quarta controversia è quella dello statuto di scientificità dell’economia, della sua capacità descrittiva e predittiva, che dovrebbe includere, a titolo di esempio, i concetti di prova, di ripetibilità degli esperimenti, di confutazione delle teorie;

POSIZIONI DEL COMITATO E DEI PREMIATI

Pare che su queste controversie i ricercatori e l’Accademia svedese abbiano preso delle posizioni abbastanza precise:

  • tra i modelli shumpeteriano e della domanda, danno per vincente il primo, l’abbiamo svelato prima;
  • sul legame tra crescita e benessere, è evidente che non hanno dubbi, una maggiore crescita economica è fautrice di maggiore benessere e se questa crescita è sostenuta e continuativa, il benessere non può che aumentare, per tutti;
  • sulla neutralità dello sviluppo tecnologico, pur allineandosi alle doverose preoccupazioni dei tre ricercatori, l’Accademia sembra proprio prendere la via dell’accelerazionismo, ritenuto «il fondamento per una crescita sostenuta, che» vale la pena di ripeterlo, «produce un migliore standard di esistenza, salute e qualità della vita per tutte le persone del mondo».
  • Sulla missione sociale dell’economia, sul conflitto tra sviluppo delle tecniche e salvaguardia dei lavoratori, l’Accademia sembra propendere per lo sviluppo, e per la salvaguardia quantitativa dei posti di lavoro, e non per quella qualitativa di questi posti di lavoro, hic et nunc.

ISTANZE MORALI E SCALE DI VALORI

Gli Autori delle ricerche e l’Accademia hanno espresso delle scale di valori che sostengono le posizioni appena citate. Proviamo a sintetizzarle al massimo.

La crescita economica è un valore superiore alla stasi, alla permanenza dello stato delle cose, alla stagnazione (parole percepita negativamente da chiunque) «che era la norma in quasi tutta la storia umana […] fatto salvo per qualche scoperta qua e là che solo a volte ha generato dei miglioramenti nei redditi e nelle condizioni di vita». Secondo questa prospettiva, il quadro dell’esistenza umana dalle civiltà minoiche fino a metà dell’800 sembra peggio di un girone infernale. Ne siamo certi?

Per l’Accademia e per i premiati del 2025, lo sviluppo tecnologico è un valore morale in sé ed è certamente superiore alla stabilizzazione. Non ha connotazioni negative, è neutrale, è migliore del non-sviluppo. Gli eventuali effetti indesiderati sono un problema delle istituzioni che ne devono governare l’applicazione e la gestione. E «se la distruzione creativa crea conflitti questi vanno gestiti in maniera costruttiva, altrimenti l’innovazione sarà bloccata».

È anche interessante l’istanza di valore che emerge dalla sintesi dei paper dei tre ricercatori resa pubblica dal comitato: l’affermazione delle tesi economiche – che sono in linea con il pensiero del tecno-sviluppo mainstream sostenuto dalle grandi corporation – prevale sulla scientificità dell’argomentazione; non sembra esserci traccia di confronto con la teoria della domanda, né tantomeno con teorie contrarie come – ad esempio – quella di Von Neumann, che teorizza, con un elegante modello matematico, che la crescita economica sostenuta è favorita dalla stasi tecnologica.

In ultimo, tra i posti di lavoro – elemento quantitativo – e gli individui occupati, senza dubbio, per economisti laureati e comitato, hanno più valore i posti di lavoro.

Con buona pace dei lavoratori resi obsoleti oggi, che ringraziano i ricercatori e l’Accademia delle Scienze svedese.

 

NOTE:

1 Cfr: Wikipedia, voce macroeconomia; Unicusano, Macroeconomia

2 Un esempio non del tutto ortodosso di questo punto di vista è espresso da D. Graber nel suo Debito, I primi 5000 anni, Il Saggiatore, 2011

3 Sceneggiato è un termine desueto, da boomer. Nel tempo siamo passati a telefilm e oggi si parla di serie. Tema da analizzare prossimamente perché molto probabilmente legato ad un fattore di evoluzione tecnologica.

4 Joel Mokyr, Northwestern University, Evanston, IL, USA, Eitan Berglas School of Economics, Tel Aviv University, Israel;

5 Philippe Aghion, Collège de France and INSEAD, Paris, France, The London School of Economics and Political Science, UK

6 Peter Howitt, Brown University, Providence, RI, USA

Autore

  • Gianluca Fuser

    Laureato in Scienze Filosofiche all’Università degli Studi di Milano e manager. Scrive appunti sul rapporto tra scienze, tecnologie e morale anche quando pedala come un pazzo, la domenica mattina. A volte dice di lavorare. È il direttore editoriale di Controversie.

    Leggi tutti gli articoli