No news, bad news – Covid, due anni dopo: delle non-notizie che devono far riflettere

Alcuni giorni fa, uno dei più autorevoli quotidiani italiani ha pubblicato l’articolo “Il Covid, il laboratorio di Wuhan e le accuse rilanciate dal Nyt sulle responsabilità Usa: «Potrebbe essere stato l’incidente più dannoso nella storia della scienza»” sull’ipotesi che la diffusione del virus Sars-CoV-2 abbia avuto origine da un laboratorio di ricerca sui virus del ceppo Sars, a Wuhan, in Cina.

L’articolo del quotidiano italiano riprende un analogo testo del New York Times, intitolato “Why the pandemic probably started in a Lab – in 5 points” che “rilancia con forza l’ipotesi che il virus Sars-Cov-2 sia stato creato in laboratorio” e, inoltre, “lancia un atto di accusa ancora più pesante: che quel laboratorio abbia creato il virus nell’ambito di un progetto di ricerca a cui hanno collaborato organizzazioni americane finanziate dal governo degli Stati Uniti.”

A sostegno di questa ipotesi, il NYT (e il quotidiano italiano che dà spazio alla notizia) si appoggia all’opinione di Alina Chan, biologa molecolare canadese presso il MIT, autrice del libro Viral: The Search for the Origin of Covid-19 (Chan A. e Ridley M., New York: Harpers Collins, 2021), libro in cui utilizza queste presunte prove a suffragio della sua ipotesi:

  • La pandemia è iniziata a Wuhan, dove si trovava il più importante laboratorio di ricerca sui virus simili alla Sars;
  • Nel 2018 il laboratorio di Wuhan, in collaborazione con EcoHealth Alliance (un’organizzazione scientifica americana che è stata finanziata con 80 milioni di dollari dal governo degli Stati Uniti) e l’epidemiologo dell’Università del North Carolina Ralph Baric, aveva elaborato un progetto di ricerca, chiamato Defuse, in cui progettava di creare virus simili al Sars-Cov-2;
  • I livelli di sicurezza del laboratorio di Wuhan (cioè le misure per evitare il rilascio accidentale di virus) erano molto più bassi di quelli richiesti dagli standard di sicurezza delle strutture di ricerca americane;
  • Non ci sono prove sostanziali per dire che lo spill-over, cioè il contagio da un’altra specie animale all’uomo, sia avvenuto in un mercato di Wuhan, come sostenuto dai cinesi.

Chan sottolinea, scrive il quotidiano italiano, che è perlomeno peculiare che «un virus simile alla Sars mai visto prima, con un sito di scissione della furina di recente introduzione, corrispondente alla descrizione contenuta nella proposta Defuse dell’istituto di Wuhan, ha causato un’epidemia a Wuhan meno di due anni dopo la stesura della proposta».

L’articolo continua affermando che “Tutto questo fa pensare che l’ipotesi di un virus costruito in laboratorio sia la più probabile.

Ora, se proviamo ad analizzare il contenuto della narrazione, emerge che:

  • il libro di Chan è del 2021;
  • gli elementi a favore dell'ipotesi fuga dal laboratorio sono tratte dal libro di Chan, quindi sono datati 2021;
  • l'articolo dice che non ci sono prove sostanziali per dire che lo spill-over sia avvenuto da animale non umano ad animale umano al mercato di Wuhan;
  • tuttavia, non sembra fornire prove sostanziali del contrario, cioè del fatto che il virus sia stato creato nel laboratorio di Wuhan né, tantomeno, che da quel laboratorio sia sfuggito.

David Hume non avrebbe dubbi: il nesso causale che l’articolo suggerisce tra ricerca a Wuhan e diffusione del virus è illusorio; al massimo si tratta – in assenza di altre prove sostanziali – di un caso di contiguità temporale e di posizione.

Quindi, non sembrano esserci notizie nuove sull’origine della diffusione del virus, ma solo congetture, coincidenze, contiguità non causali, dette 3 anni fa.

Perché, quindi, il New York Times e il quotidiano italiano dedicano la loro attenzione a delle non – notizie?

Perché nei giorni precedenti, Anthony Fauci, immunologo a capo del National Institute of Allergy and Infectious Diseases fino al 2022, e guida della strategia degli Stati Uniti sul Covid, è stato sentito alla Camera statunitense sulle (presunte) responsabilità del governo USA nella pandemia e sul suo (presunto) ruolo nell’averle nascoste; durante l’audizione, Fauci ha dichiarato: «È falsa l’accusa che io abbia cercato di coprire l’ipotesi che il virus potesse essere nato da una mutazione creata in laboratorio. È vero il contrario: in una email inviata il 12 febbraio 2020 chiesi di fare chiarezza e di riportare alle autorità preposte».

Le vere notizie, quindi, sembrano essere queste:

  • che prendendo spunto dalla deposizione di Fauci, che ha dato spunto a un articolo del NYT, che a sua volta non dà altre notizie, il quotidiano italiano tratta come notizia il fatto che non ci sono notizie e prova, in questo modo sottile, a sostenere l'ipotesi di Chan, trattandola in modo che sembri altamente probabile;
  • che il rilancio dell’ipotesi di Chan, più che sulla solidità fattuale e causale, e a dispetto della dimensione fortemente congetturale, è fondato sull’autorevolezza della ricercatrice, “che lavora al Massachusetts Institute of Technology (Mit) e ad Harvard[1]
  • che il NYT e il quotidiano italiano usano una notizia politica (l’audizione di Fauci) per parlare d’altro, altro in cui non ci sono affatto notizie, ma solo riesumazione di congetture, per di più datate.

C’è, però, un’ultima notizia, più importante, da leggere fra le righe: che non si parla seriamente di un’ipotesi - quella della produzione in laboratorio del virus e della possibile “fuga” – che, invece, meriterebbe indagini e approfondimenti seri, circostanziati e trasparenti; non tanto per attribuire responsabilità, ma per capire:

  • se e dove vengono fatte ricerche su agenti virali ad alto rischio;
  • come vengono fatte;
  • e soprattutto perché vengono fatte e quali sono le fonti dei finanziamenti che le rendono possibili.

 

NOTA

Tutti i corsivi virgolettati sono tratti dall’articolo Il Covid, il laboratorio di Wuhan e le accuse rilanciate dal Nyt sulle responsabilità Usa: «Potrebbe essere stato l’incidente più dannoso nella storia della scienza», Corriere della Sera, 4 giugno 2024.

[1] Sul tema del ruolo dell’autorevolezza degli scienziati si può vedere: Gobo G. e Marcheselli V, Sociologia della scienza e della tecnologia, Carocci Editore, 2021, Cap. 7; Collins H.M. e Evans R., The third wave of science studies: studies of expertise and experience, in “Social studies of science”, 32, 2, pp. 235-96; Collins H.M. e Pinch T., Il Golem, Edizioni Dedalo, 1995, Cap. VI.

 

 

 

 


Quando la pazienza è più produttiva della fretta - Sull’esistenza di un nuovo pianeta

Rappresentazione artistica del pianeta X (Caltech/R. Hurt IPAC)

 

La scorsa settimana alcuni quotidiani hanno dato la notizia di nuove prove statistiche che confermerebbero l’esistenza di un nuovo pianeta (il nono, dopo il declassamento di Plutone nel 2006), un corpo celeste grande tre volte la Terra che starebbe ai margini del sistema solare, oltre Nettuno. Infatti, girerebbe intorno al Sole proprio in un’orbita vicino Nettuno.

Il nuovo pianeta (chiamato X, intendendo la x come incognita), non è mai stato osservato direttamente, ma la sua esistenza si potrebbe desumere dalle orbite anomale di diversi oggetti celesti ai margini del Sistema solare. Almeno secondo quanto affermato dagli autori dello studio.

Le orbite anomale sono già servite in passato (a Galilei, Copernico, Keplero ecc.) come prove indirette, come indizi, elementi di una spiegazione plausibile. Ad esempio il pianeta Nettuno fu individuato seguendo le indicazioni del matematici britannico John Couch Adams e di quello francese Urbain Le Verrier, che basarono i loro calcoli su discrepanze delle orbite di Urano, Saturno e Giove.

A tutt’oggi l’ipotesi dell’esistenza del pianeta X non è ancora accettata dalla maggioranza degli astronomi, ma quest’ultimo studio sarebbe una forte prova a sostegno della sua presenza.

La notizia, per coloro che sono interessati alla sociologia della scienza, è interessante perché questa ipotesi circola da ben più di 100 anni. Infatti i primi studi sul pianeta nove risalgono alla fine dell’Ottocento e sono proseguiti per tutto il secolo scorso, ad esempio, con l'astronomo statunitense Percival Lowell (ai primi del Novecento). Nel 1915, nel suo osservatorio, furono registrate due deboli immagini di Plutone, ma esse non venero riconosciute come tali fino alla scoperta di Plutone, nel 1930. Ma non era il pianeta X.

Nel 2014 la NASA, mediante il suo programma di esplorazione Wide-Field Infrared Survey Explorer (WISE), escluse l'esistenza di un pianeta X.

Ora, invece, l’ipotesi torna a prendere quota.

D’altra parte, il fenomeno dei tempi lunghi, era già capitato con la conferma delle onde gravitazionali: il fisico statunitense Joseph Weber, come avevamo già visto in un altro post, aveva cominciato a lavorarci negli anni Sessanta senza che i suoi lavori venissero accettati come prova. Accettazione avvenuta solo recentemente, molti anni dopo la sua morte avvenuta nel 2000.

Fra le tante lezioni che si possono trarre, una è che la scienza debba essere “lenta”, un’attività meditata, attenta e riflessiva. Sempre più, invece, si vogliono prove subito, riscontri immediati, conferme veloci. Con scarsa tolleranza per ipotesi visionarie, ma con ancora poche prove. Ormai vige un modello di fare scienza che preferisce i temi noti, acquisiti e di moda, anziché quelli ignoti, potenzialmente rivoluzionari e più marginali.

In altre parole, si sta sempre più affermando una scienza “sveltina” (e la recente crescita esponenziale di pubblicazioni “veloci” ne è un indizio), che non si dà (e non prende) tempo per osservare con calma e in profondità i fenomeni e i loro esiti, anche nel medio e lungo periodo.

Un proverbio (non a caso) di origini orientali, riportato nella favola di Esopo La scrofa e la cagna, dice “la cagna frettolosa fa figli ciechi”.
Il pensiero meridiano, come ha evidenziato Franco Cassano Il pensiero meridiano (2005), l’ha poi trasformato in “A iatta prisciarola fa i iattareddi orbi” (in Sicilia) e “A gatta pe' jì 'e pressa, facette 'e figlie cecate” (a Napoli).

Bisognerebbe ricordarlo a Janine Small (responsabile Pfizer per i mercati internazionali), che il 10 ottobre 2022, al Parlamento Europeo, a una precisa domanda di un parlamentare su quali test erano stati fatti per affermare che chi avrebbe assunto il vaccino anti-covid non avrebbe trasmesso il virus ad altre persone (ricordiamoci che su questo assunto in Italia fu istituito la green pass, certificazione senza la quale una persona non poteva circolare liberamente perché potenziale diffonditrice del virus in quanto non vaccinata) rispose candidamente: "the vaccine has not been tested to prevent infection” (…) “there was no time” (…) “we had to move at the speed of science”.

Ecco, appunto… la velocità della scienza…


Entanglement quantistico e viaggi nel tempo?

Recentemente, un gruppo di fisici di Cambrige[1] ha simulato un loop temporale tra presente e passato, legato agli effetti dell’entanglement quantistico, che ha permesso di simulare un effetto nel passato di una azione fatta nel presente.

L'entanglement è un fenomeno quantistico, in cui delle proprietà fondamentali quantistiche sono condivise tra due o più particelle, come se fossero “gemellate” e si comportano in modo coordinato, anche se si trovano a grande distanza. In altre parole, due particelle sono “entangled” (intrecciate) se nascono da un medesimo processo e sono descritte da uno stesso stato quantico globale; rimangono, però, separate e hanno carattere indefinito finché “non viene fatta una misura”.

La cosa straordinaria è che una azione su una particella provoca lo stesso cambiamento anche nelle altre “gemelle”.

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Il tema dell’entanglement fu uno dei punti di culmine della lunga controversia che oppose da una parte Albert Einstein e dall’altra i quantisti - in particolare, Niels Bohr e, più tardi, J.S. Bell – sulla validità dei principi della meccanica quantistica.

È una controversia che oppone due diverse visioni del mondo e della scienza, quella, per semplificare, moderatamente realista di Einstein e quella più formalista dei fisici quantistici della Scuola di Copenhagen – Bohr, Pauli, Heiseneberg.

Visioni diverse che, oggi, sono ancora oggetto di discussione filosofica, storica e sociologica e anche, seppur meno esplicitamente, scientifica.

Discussione filosofica che Newton eluse già nel ‘600: la legge di gravitazione universale ipotizza, infatti, l’azione a distanza, cioè la possibilità che tra due oggetti ci sia un’azione senza che vengano a contatto, ma la nascose dietro al formalismo matematico con la sua indubbia efficacia. Newton lasciò cadere la questione per non essere accusato di magia.

Anche oggi, la parapsicologia, o scienza del paranormale, si fonda su queste (controverse) premesse.[2]

 

L'esperimento

Nell'esperimento, il team ha simulato l'entanglement di due particelle quantistiche. Una di queste particelle è stata poi utilizzata in un esperimento separato. Dopo aver completato questo esperimento, i ricercatori hanno acquisito nuove informazioni che avrebbero influenzato le loro azioni precedenti. A questo punto, hanno manipolato la seconda particella per alterare retroattivamente lo stato passato della prima, cambiando così l'esito dell'esperimento. Questa manipolazione è stata possibile grazie all'entanglement quantistico, che ha permesso ai ricercatori di "comunicare" con il passato, tornando indietro nel tempo.

 

Immaginario e suggestioni

I media si sono subito lanciati a immaginare viaggi nel tempo; ma non è ancora e non è proprio questo.

La simulazione eseguita non è la prima di questo genere, ed è particolarmente significativa per due motivi:

1) il modello è replicabile;

2) le simulazioni sono misurabili.

Ciò vuole dire che gli scienziati sanno quando i risultati sono positivi e quando la simulazione fallisce. E questo è un passo essenziale per la fase successiva e per sostenere le ulteriori sperimentazioni.

Il modello si basa sulla manipolazione dell’entaglement quantistico, un fenomeno proprio della dimensione quantistica e non misurabile nella dimensione della fisica classica.

Quando due particelle interagiscono, alcuni legami derivati dalla loro interazione restano validi anche dopo il termine dell'interazione stessa. In altre parole, rimane in esse un’impronta della loro passata interazione.

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Ciò che è più interessante, da un punto di vista sia metodologico che sostantivo, è che le simulazioni hanno mostrato che una volta su quattro è possibile influenzare il risultato del comportamento futuro di una particella che ha subito entaglement usando le particelle correlate.

È come inviare un messaggio oggi, recapitarlo domani e influenzarne il suo contenuto tra oggi e domani; facendolo domani.

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La simulazione mostra che esistono modelli consistenti e misurabili per raccogliere informazioni utili su come un evento nella dimensione quantistica può essere influenzato rispetto al suo esito finale nella scala del tempo.

 

Ma questo, almeno per il momento, non significa scrivere il futuro dal presente.

 

 

NOTE

[1] Il lavoro è stato pubblicato su Physical Review Letters, https://journals.aps.org/prl/abstract/10.1103/PhysRevLett.131.150202

[2] Chi volesse prendere una laurea in Scienza del Paranormale, può iscriversi all’Università di Edimburgo, dove si tiene il corso di laurea in Parapsychology.

 


Orsi e umani – Una serie di problemi di confine

Il 5 aprile 2023, l’orsa JJ4, lungo un sentiero isolato, uccise Andrea Papi - un pacifico essere vivente che amava correre in montagna e nei boschi del Trentino.

Il successivo 1° settembre, un abitante di San Benedetto dei Marsi, nei pressi della propria casa, uccise l’orsa F17, detta Amarena - un pacifico essere vivente amante delle amarene, che a volte attraversava i paeselli della Marsica.

Questi due eventi sono apparentemente antitetici: nel primo caso un umano viene ucciso da un’orsa; nel secondo un’orsa viene uccisa da un umano.

Tuttavia, nel loro essere antitetici, presentano delle simmetrie:

1) gli uccisi sono due esseri viventi, che hanno acquisito confidenza l’uno con il territorio dell’altro: l’orsa con il territorio “naturale” dell’umano, l’umano con il territorio “naturale” dell’orso. Attenzione, però, al termine “naturale”: lo scrivo tra virgolette per anticiparne il carattere ambiguo.

2) presumibilmente, entrambi gli esseri viventi che hanno compiuto l’assassinio hanno agito per paura o, forse, per difesa, legittima ma purtroppo eccessiva

3) in entrambi i casi, i due uccisori sono stati minacciati di morte: l’orsa JJ4 dalla Provincia Autonoma di Trento, l’umano di San Benedetto dei Marsi che ha sparato ad Amarena da numerosi individui e odiatori, in rete, al telefono e sui muri vicino a casa. Per proteggere entrambi è intervenuto lo Stato: il Consiglio di Stato ha giudicato sproporzionata la richiesta di soppressione dell’orsa; la Polizia di Stato ha messo sotto protezione l’abitante di San Benedetto e la sua famiglia.

Queste due storie, entrambe culminate con l’uccisione di due esseri viventi, parlano di confini:

  • il confine tra antropico e “naturale”: in questo caso tra territorio degli orsi (il bosco) e territorio degli umani (il paese); l’immaginazione sociale e l’idea di confine suggeriscono che ciascuna specie di esseri viventi debba rispettarli; il pensiero comune, anzi, pretende che l’orso non debba sconfinare ma che l’umano possa farlo (attenzione ai verbi: “non debba” e “possa”), purché con giudizio e prudenza.
  • il confine tra cultura e natura: sono, devono essere due cose distinte, la cultura è attribuita agli animali umani, la natura sono gli animali non umani; distinte, salvo la sempre possibile subordinazione della natura alla cultura, in termini di uso e asservimento.
  • il confine tra tradizione e ecologia: la tradizione porta con sé abitudini di prudenza, ma legittima anche la violenza (se l’orso mi mangia le galline, gli sparo); l’ecologia, che si nutre di scienze naturali ed etologiche, preserva e conserva la specie, la “reintroduce”, ne favorisce la riproduzione.

In realtà, questi confini sono evidentemente immaginari, sono costruzioni sociali (degli animali umani, ovviamente, non credo che nessun capriolo, orso o picchio abbia mai partecipato alla discussione).

Diversamente dal desiderio di chi li traccia, sono sempre permeabili, nelle due direzioni: l’orso entra in paese e a volte fa danni, l’autore di questo articolo cammina e pedala nei boschi dell’Abruzzo e a volte fa scappare alcuni animali con il suo rumore; ci sono sempre individui che frequentano l’oltre confine.

Anche il confine tra natura e cultura non è chiuso. La discussione filosofica, da Levi-Strauss a Descola e Ingold è vivacissima su questo tema. Personalmente sto dalla parta di chi considera le due “zone” in ampia sovrapposizione.

Infine, il confine tra tradizione e ecologia, uno dei più delicati: le due aree sono spesso in contrapposizione, e i due terribili eventi di morte da cui siamo partiti ne sono un esempio e hanno dato nuovo impulso al dibattito tra la tradizione, intesa come equilibrio deciso dagli esseri umani che parlano, ad esempio, di “prelievi” di animali in eccesso (cioè uccisioni programmate e legittimate) e di  controllo territoriale forzoso e l’ideologia di una certa ecologia, che fa leva sul presunto valore assoluto “della ”, dell’idea di specie, che va a tutti i costi preservata e conservata.

Purtroppo, alla morte dei due individui, unici e insostituibili, un umano e un’orsa, non c’è rimedio e temo che non possa fare più di tanto per assicurarci che non ci siano casi di sconfinamento che finiscono così.

È il caso invece di riflettere su questi punti:

  • disegnare confini dà sicurezza a chi li disegna; ma questa sicurezza è effimera perché l’altro non li conosce e perché questi confini sono immaginari;
  • chi parla di specie, da confinare, da preservare, da estirpare, commette un grave errore: le specie non esistono nella realtà, sono state inventate dal ‘700; le specie non sono soggetti con una volontà, delle caratteristiche unitarie, definite, incorruttibili e fissate; filosoficamente parlando non sono soggetti morali né universali;

Invece che disegnare confini e preservare specie, è, infatti, utile pensare a convivenze pacifiche e timorose, in cui siano sviluppati e diffusi comportamenti che – come viene suggerito, ad esempio, dalla Regione Abruzzo - contrastino la “confidenza” dell’animale selvatico, non trasformino la presenza di un orso in paese in un fenomeno turistico, in una attrazione da fotografare, non favoriscano l’ingresso nei centri abitati con cibo esposto e raggiungibile.

È utile creare deterrenti simmetrici al ringhio dell’orso infastidito, che fa passare la voglia di camminare in quella parte del bosco, come recinti elettrificati, fonti di rumore, campanelli.

È utile essere consapevoli che la presenza umana nelle zone di prevalente pertinenza del selvatico non è neutrale, che può infastidire, che deve essere discreta e non generare allarme e spavento: l’orso, il lupo, i selvatici si allontanano dalla presenza umana nel bosco, se non è minacciosa.

È anche importante – da un punto di vista teorico – che l’ecologia “scientifica” si smarchi da due errori di approccio: in primis dalla convinzione di origine cartesiana che costruisce l’animale come soggetto con caratteristiche fisse, immutabili e meccaniche su cui basare la relazione; in secondo luogo dal conseguente approccio quantitativo, per il quale l’animale non umano è un rappresentante numerico di una specie, per cui ogni esemplare è sostituibile: tanti ne muoiono, tanti ne vengono “reimmessi”.

Una volta messe da parte queste distorsioni, la scienza ecologica può rifocalizzarsi sul fatto che ogni orso, ogni lupo, coniglio e vitello, è un individuo, come lo è ognuno di noi umani; e che il benessere di ognuno di questi individui può essere il fondamento di una società ampia, interspecifica, che riconosce pari diritti di vita, di rispetto, di salute e di sviluppo, di sicurezza ad ogni singolo soggetto, umano e non umano.