Redazione: Per riaprire il discorso iniziato il 27 febbraio con il post “Il libero arbitrio oltre il dibattito filosofico – Incontri con le scienze empiriche”, è il caso di ricordare come spesso la questione del libero arbitrio sia posta come un’alternativa tra due scenari contrapposti: uno nel quale gli esseri umani sono vincolati in modo rigido ad agire e a scegliere in modo determinato meccanicamente; l’altro, nel quale essi sono agenti con la possibilità di determinare il proprio destino.

In quell’occasione hai delineato in che modo la riflessione filosofica si sia avvicinata alla meccanica quantistica, e come abbia tentato – secondo te senza riuscirci – una interpretazione dei risultati empirici come giustificazione dell’indeterminismo libertario.

Nel tuo lavoro Neurobiologia della volontà (2022), invece, hai parlato degli studi delle neuroscienze sull’esistenza o meno di condizionamenti a cui sono sensibili gli agenti e che condizionano o determinano in anticipo le azioni che verranno dispiegate.

Stella: Sì, da un lato alcuni autori si  sono chiesti se fattori come l’ambiente o la genetica possano determinare le scelte che compie di volta in volta l’individuo; altri si sono chiesti se i sistemi neurali che vengono di solito associati alle deliberazioni individuali siano liberi (nel senso di capaci di iniziare nuove catene causali) o se sono preceduti da altre attività cerebrali sulle quali non abbiamo il controllo.

Tra questi ultimi, ho preso in considerazione il lavoro di Benjamin Libet che ha studiato gli eventi coscienti e la loro relazione con l’iniziazione di atti fisici.

Ricordiamo che, secondo la psicologia del senso comune, l’essere umano concepisca i propri atti liberi e la propria volontà come frutto della propria coscienza.

Seppure tali funzioni siano attribuite in maniera intuitiva alla sfera mentale, dal punto di vista delle neuroscienze non è facile comprendere su quali processi neurali queste si poggino. La ricerca empirica non è stata ancora in grado di fornire evidenze di rilievo che siano in grado di supportare l’ipotesi di processi indeterministici a livello cerebrale. In altre parole, non è stato ancora spiegato se e come il cervello umano possa produrre delle azioni libere, secondo le condizioni di autodeterminazione e non condizionamento esterno, in accordo con il senso comune.[1]

 

Redazione: Secondo te, il lavoro di Libet è da interpretare come una valida confutazione del libero arbitrio oppure come una spiegazione più realistica di come potrebbero funzionare dei meccanismi mentali indeterministici?

Stella: Va sicuramente evidenziato che il lavoro di B. Libet è stato portato avanti nella convinzione che la questione del libero arbitrio sia un tema dalla forte rilevanza speculativa e pratica, per cui Libet ritiene che “una teoria che si limita a interpretare  il fenomeno del libero arbitrio come illusorio e nega la validità di questo fatto fenomenologico è meno interessante di una teoria che accetta o accoglie un tale fatto” (Libet, Mind Time – Il fattore temporale nella coscienza, Raffaello Cortina Editore, 2007, p. 159). Libet dichiara, inoltre, che la sua “conclusione sul libero arbitrio – libero per davvero, in senso non deterministico – è che la sua esistenza è un’opinione scientifica altrettanto buona, se non migliore, della sua negazione in base alla teoria deterministica delle leggi naturali” (p.160).

 

Redazione: Nei suoi lavori Libet ha fornito delle prove sperimentali dell’intuizione che abbiamo di agire in modo libero e conscio?

Stella: Sì, Libet ha cercato di testare sperimentalmente questa intuizione studiando l’esperienza cosciente dell’intenzione di agire in atti motori semplici volontari. Per sorpassare la soggettività dell’esperienza, Libet ha osservato le relazioni temporali che intercorrono fra gli eventi neurali di azioni volontarie specifiche e la percezione che hanno gli agenti mentre le compiono.

Il presupposto per questa ricerca è che – secondo Libet – “il problema dei rapporti mente-cervello e quello delle basi cerebrali dell’esperienza cosciente possono essere studiati sperimentalmente” (cit., p. 1) perché gli eventi fisici e quelli mentali, sono correlati ma

  • costituiscono due categorie fenomenologicamente indipendenti e “nessuno dei due fenomeni può essere ridotto all’altro o descritto da esso” (cit., 21).
  • “la natura non fisica della consapevolezza soggettiva (e dei sentimenti di spiritualità, creatività, volontà consapevole e immaginazione) non è descrivibile o spiegabile direttamente in termini di prove fisiche pure e semplici” (cit., p. 9).

A questo proposito, Libet evidenzia i limiti degli studi morfologici e fisiologici del cervello – basati su ICBF, PET, RM funzionale – per la comprensione dell’esperienza cosciente, perché «forniscono informazioni solo su dove, nel cervello, le attività delle cellule nervose possono essere collegate alle varie operazioni mentali» e non dicono nulla sul genere di attività delle cellule nervose, sulle correlazioni temporali tra attività nervosa e funzione mentale e né, tantomeno, garantiscano che i siti cerebrali localizzati siano davvero quelli di primaria importanza per quelle operazioni mentali.

 

Redazione: In che modo Libet ha indagato questo tema dell’intenzione più o meno cosciente?

Stella: Libet ha deciso di lavorare su soggetti in grado di collaborare e di rispondere alle domande a loro rivolte, sveglie coscienti[2] perché riteneva che un’indagine fenomenologica dell’esperienza cosciente dell’intenzione possa essere svolta solo su un soggetto in grado di riportare la propria esperienza.

L’assetto sperimentale[3] vede, quindi, dei soggetti che devono compiere atti motori semplici, volontari ed endogeni, come flettere un dito o il polso.

Il punto centrale dell’esperimento è la rilevazione – fatta con elettroencefalogramma – del “potenziale di prontezza” cioè di un significativo incremento dell’attività elettrica nell’area motoria supplementare coinvolta nel controllo dei movimenti poco prima e in preparazione di ogni azione; si pensa che questo potenziale sia correlato causalmente, sulla base di analisi statistiche, all’esecuzione delle azioni.[4]

Contestualmente alla rilevazione dell’attività cerebrale associata all’iniziazione dell’atto motorio, viene chiesto al soggetto sperimentale di osservare uno speciale orologio così da poter registrare l’esatto momento in cui ha sentito l’impulso di agire e confrontarlo con i dati sull’attività cerebrale.

Le rilevazioni hanno mostrato che il potenziale di prontezza insorge circa 550 millisecondi prima del dispiegarsi dell’azione, mentre generalmente gli individui riportano di aver sentito l’impulso ad agire 200 millisecondi prima dell’azione stessa.

Pertanto, è possibile osservare uno scarto di 350 millisecondi tra l’attività elettrica di preparazione all’azione e la percezione soggettiva di volerla compiere, sebbene l’individuo non ne avesse alcuna consapevolezza o percezione.[5]

 

Redazione: Cosa conclude Libet sulla base di questi risultati, che sembrano abbastanza indicativi per la riflessione sull’arbitrarietà delle azioni?

Stella: La prima conclusione di Libet è che gli individui non hanno un controllo sull’iniziazione delle proprie azioni, in quanto questa si manifesta  a livello cerebrale già prima di diventare cosciente.

 

Redazione: Parrebbe che questa sia una netta confutazione dell’esistenza dell’arbitrio, o sbaglio?

Stella: In effetti, una prima interpretazione potrebbe essere di questo tenore. Però, lo stesso Libet ha ritenuto meglio riformulare il concetto in una forma ridotta: sebbene l’iniziazione dell’azione non sia frutto del libero arbitrio, gli agenti godono della “libertà di veto” (cit., p. 141). In termini pratici, l’esperienza cosciente si manifesta 200 millisecondi prima dell’azione MA l’agente ha tempo fino a circa 50 millisecondi prima di questa per interromperla.

In estrema sintesi, da una parte Libet conclude che gli esseri umani non decidono né avviano consciamente le proprie azioni e, pertanto, la coscienza non svolge un ruolo diretto nei processi deliberativi (Levy N., Neuroethics. Challenges for the 21st Century, 2007, p. 226) ma, dall’altra parte, osserva che “la volontà liberamente cosciente può controllare il risultato di un processo iniziato in modo non cosciente” (p. 147).

 

Redazione: Ci sono interpretazioni disallineate alle conclusioni di Libet?

Stella: Decisamente! Altri autori hanno considerato poco convincente il lavoro di Libet. Tra le critiche più interessanti c’è senza dubbio quella di Schurger e colleghi, che hanno riprodotto l’assetto sperimentale di Libet per mostrare che l’attività neurale soggiacente la preparazione dell’azione segue delle fluttuazioni spontanee, correlate all’azione solo a livello probabilistico. La loro sperimentazione ha rivelato come tra l’insorgere dell’esperienza cosciente dell’intenzione e l’esecuzione a livello neurale di tale iniziazione ci sia uno scarto di 50 millisecondi, tempo che consentirebbe alla coscienza di avviare e controllare l’esecuzione del processo motorio.

La conclusione di Shurger e colleghi è che le affermazioni di Libet sul libero arbitrio siano infondate e che una volontà libera sia in linea teorica perfettamente compatibile con un modello di attività neurale ad onde, come quello da loro illustrato.

 

Redazione: Mi pare che sia Libet, con il suo tentativo di salvare la coscienza dall’etichetta di mero epifenomeno proponendo la teoria della libertà di veto, che i suoi oppositori cerchino di escludere elementi deterministici che agiscano a livello neurale, come dei processi mentali inconsci, e che possano influenzare e condizionare le nostre azioni. Se ne esce in qualche modo?

Stella: Credo che sia bene ricordare che questi risultati offrono un contributo speculativo esclusivamente nell’ambito dei determinismi locali, che – come in questo caso per l’attività neurale – potrebbero condizionare la nostra volontà libera.

Mi pare chiaro che questi contributi non siano  in grado di sciogliere la questione sul piano del determinismo universale e che rappresentano un contributo limitato all’interno del dibattito filosofico sul libero arbitrio.

Ritengo – però – che questo tipo di studi possa mantenere vivo l’interesse sulla riflessione morale sulla responsabilità e sui nostri giudizi di liceità o illiceità di una determinata azione.

Inoltre, i risultati di questo tipo di studi potrebbero supportare la formulazione di teorie etiche normative informate e adeguate rispetto al nostro modo di agire, ragionare e giudicare moralmente.

 

 


NOTE

[1] A tal proposito, Libet suggerisce che vi siano due modi per configurare un’attività mentale conscia che si sottrae alle leggi fisiche note: “La prima è che le violazioni non sono rilevabili, dal momento che le azioni della mente possono essere a un livello inferiore a quello dell’indeterminazione permessa dalla meccanica quantistica. (Se quest’ultima ipotesi condizionale possa in effetti essere sostenuta è un tema che deve essere ancora risolto.) Quest’idea permetterebbe, quindi, l’esistenza di un libero arbitrio non deterministico senza una violazione percepibile delle leggi fisiche. Un secondo punto di vista sostiene che le violazioni delle leggi fisiche note sono abbastanza grandi da essere rilevate, almeno in linea di principio. Ma si può supporre che le effettive possibilità di rilevazione in pratica siano nulle. Le difficoltà nella rilevazione sono particolarmente vere se la volontà cosciente è in grado di esercitare la sua influenza attraverso azioni minimali su elementi neurali relativamente poco numerosi, cioè se queste azioni possono servire come innesco per schemi amplificati di cellule nervose dell’attività del cervello. In ogni caso, non abbiamo una risposta scientifica alla questione di quale teoria (deterministica o non deterministica) descriva in maniera corretta la natura del libero arbitrio.

[2] Per approfondimenti su queto punto, si veda Boncinelli, Chi prende le mie decisioni?, 2007.

[3] Il setting di Libet era ispirato agli esperimenti degli anni Sessanta (1969) di Deecke, Scheid e Kornhuber, Distribution of Readiness Potential, Pre-motion Positivity, and Motor Potential of the Human Cerebral Cortex Preceding Voluntary Finger Movements.

[4] Si veda Benini, Neurobiologia della volontà, 2022.

[5] Gli esperimenti di controllo sostenuti da Libet hanno escluso che la disparità sia dovuta semplicemente al tempo supplementare necessario per notare e riferire il momento indicato dal puntino mobile dell’orologio (si veda Kosslyn, 2007, p. XVI); inoltre Libet ha affermato che, sebbene gli esperimenti riguardassero atti motori semplici, i risultati possono essere generalizzati e assunti come validi per qualsiasi atto motorio volontario.

Autore

  • Stella Podestà

    Laureata in Scienze Filosofiche all’Università degli Studi di Milano, studia l’arbitrio, libero o meno. Quando non studia cerca pace sulle coste adriatiche, nutrita a forza dalla nonna.

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Controversie è il blog del Circolo STS di Milano, creato da Gianluca Fuser e Giampietro Gobo
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