Il cambiamento climatico è un dato oggettivo. 

La comunità scientifica discute sulle cause e sulle conseguenze, ma non sul fatto che le temperature sul nostro pianeta siano più calde di 30, 50 o 100 anni fa. E anche sulle cause, sono pochissimi gli scienziati che negano l’effetto delle attività umane. La discussione rimane invece aperta rispetto al peso percentuale di queste attività sul fenomeno del riscaldamento globale.

Quindi, possiamo dire che il modello di sviluppo industriale novecentesco è stato largamente responsabile di questa situazione. Parliamo essenzialmente dell’emissione di gas a “effetto serra” che impediscono al calore di disperdersi oltre l’atmosfera. Si tratta dei gas emessi dal bruciare di combustibili fossili per uso industriale, soprattutto per la mobilità e delle emissioni principalmente di CO2, ma anche di metano e protossido di azoto.

Un ulteriore aspetto da non dimenticare è il popolamento degli esseri umani sulla Terra. Non va dimenticato che gli abitanti della Terra sono passati da circa 1,5 miliardi a inizio Novecento a circa 8 miliardi oggi. Otto miliardi di persone che devono nutrirsi e che generano attività economiche, quindi consumano energia. Se il problema sono i combustibili fossili, da tempo sono noti dei possibili rimedi. In primis, la sostituzione del petrolio e dei suoi derivati con energie pulite rinnovabili (sole, vento, maree), l’efficientamento dei processi produttivi e poi il formidabile potere delle foreste.

Ma se la sostituzione del fossile non è affatto semplice perché il bisogno di energia è in continua crescita, sulle foreste il discorso diventa molto interessante. Le foreste sono un formidabile strumento di stoccaggio della CO2, di regolazione del ciclo delle piogge e di conservazione della biodiversità.

Il ricercatore inglese Thomas Crowther dell’ETH di Zurigo stima che attualmente sulla Terra ci siano circa 3.000 miliardi di alberi (!!) ma che 12.000 anni fa fossero più del doppio. Egli stima anche che sul nostro pianeta ci sia spazio per piantare circa 1.000 miliardi di nuovi alberi, che darebbero un contributo enorme a risolvere il problema dei gas serra. Basti pensare che recenti studi hanno constatato che mediamente un albero ad alto fusto assorbe ogni anno 25 kg di CO2 (dato prudenziale, fonte: Ecotree). Naturalmente una piantumazione così massiccia è impossibile all’atto pratico, ma questi dati dovrebbero far capire che la strada della salvaguardia delle foreste esistenti e dell’implementazione di nuove è imprescindibile per risolvere il problema del riscaldamento globale.

Invece è triste constatare come, tutt’ora, il saldo tra deforestazione e nuove foreste sia largamente negativo con circa 10 milioni di ettari persi ogni anno e con la sola eccezione virtuosa dell’Europa che ha 158 milioni di ettari di terreni boschivi, in aumento (Fonte: Rapporto Foreste Legambiente 2023).

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Dopo aver brevemente contestualizzato il problema e l’argomento di discussione, ora veniamo al tema dei crediti di carbonioSi tratta di titoli negoziabili che sono stati concepiti a seguito degli accordi del Protocollo di Kyoto. I crediti di carbonio sono strumenti finanziari introdotti con la finalità di rendere conveniente economicamente la salvaguardia delle foreste. Ogni credito equivale allo stoccaggio di una tonnellata di CO2. Di fatto le imprese possono acquistare questi titoli (su base obbligata per le grandi aziende molto energivore, su base volontaria per le altre) che corrispondono a una gestione forestale virtuosa delle grandi aree forestali africane, sudamericane e asiatiche. 

I titoli di credito di carbonio possono essere emessi da consorzi che si sono dotati di un Piano di Gestione Forestale Sostenibile certificatoIn queste aree vi è quindi la certezza (non sempre reale, temiamo) che la foresta sarà protetta e ci saranno piani di tagli programmati per aumentare comunque la massa legnosa e l’assorbimento netto di CO2. Tra regolamenti complessi, processi non sempre trasparenti e mille polemiche, in poco come di vent’anni di vita, il meccanismo dei crediti di carbonio non è stato un pieno successo, dal momento che non ha bloccato la deforestazione. Tuttavia, ha generato delle ricadute positive soprattutto con il concetto di Gestione Forestale Sostenibile.

Ma veniamo all’Italia. Nel nostro Paese le foreste godono di buona salute (forse contrariamente al sentire comune). In Italia ci sono circa 11 milioni di ettari di boschi e foreste, e questo dato è in continuo aumento dal dopoguerra (Fonte: Ministero dell’Agricoltura, Rapporto sullo stato delle foreste in Italia). 

Grafico di Forest Sisef

 

Nel nostro Paese si sta diffondendo anche la pratica delle Gestione Forestale Sostenibile: i proprietari di grandi boschi (siano enti pubblici o privati) possono costruire questi piani grazie al lavoro di dottori forestali specializzati che pianificano il monitoraggio accurato dello stato della zona interessata e definiscono  le pratiche per salvaguardare il bosco e per incrementare la sua capacità di protezione della biodiversità e dello stoccaggio di CO2. I piani di GFS devono essere costruiti secondo standard di enti riconosciuti. In Italia operano le filiali nazionali dei due maggiori enti internazionali: FSC (Forest Stewardship Council) e PEFC (Programme for Endorsement of Forest Certification).

Qual è il vantaggio di certificare i boschi? Chi vuol vendere legno a scopi industriali ha un plus se ha la certificazione, perché, sempre più, l’industria e i regolamenti richiedono legname certificato. D’altro canto, anche chi vuole promuovere l’uso di boschi per escursioni avrà un vantaggio nel dire che il suo è un bosco gestito in modo virtuoso.

Infine si stanno muovendo dei meccanismi economici. La GFS può generare dei crediti di sostenibilità, ovvero titoli che riconoscono una corretta gestione dei servizi della foresta (ecosistemici). Si tratta di un mercato ancora largamente agli inizi, che il legislatore, sia nazionale che europeo, sta facendo molta fatica a definire e regolamentare. Tuttavia oggi nel nostro Paese esistono consorzi che hanno ottenuto il via libera dagli enti certificatori per emettere crediti di sostenibilità, sulla base di una verifica di un beneficio dei servizi ecosistemici, segnatamente un calcolo dell’addizionalità nello stoccaggio di CO2 del bosco interessato.

Il prezzo di questi titoli oggi non si basa su criteri oggettivi ed è dato da accordi privati tra ente venditore e acquirenti. 

Ci si chiederà: che vantaggio acquisisce chi acquista questi titoli? Si tratta di un vantaggio esclusivamente reputazionale. Un’azienda che acquista questi titoli racconta di aver investito nella salute dei boschi e delle comunità che li abitano. 

È auspicabile che tutto questo sia solo l’inizio di una crescita di consapevolezza dell’importanza del ruolo di boschi e foreste. Se così sarà, questa consapevolezza potrà innestare un circolo virtuoso tra aziende finanziatrici e sistema naturale a beneficio di ambiente, territorio e comunità.

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