Non era difficile immaginare come sarebbe andata a finire la COP30. È andata come le riunioni degli anni precedenti: dichiarazioni finali con impegni generici e non cogenti sulla riduzione dell’uso dei combustibili fossili.

Un risultato deludente?

Sì, se si considerano gli obiettivi che si erano dati storicamente i Paesi che fanno parte dell’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change), in particolare durante la COP21 del 2015, quella che viene ricordata come “Accordi di Parigi”.1

No, invece, se lo si vede dal punto di vista dei Paesi che pur facendo parte dell’UNFCCC basano la loro economia sull’energia da fonti fossili; sia i Paesi produttori ed esportatori di petrolio, che i Paesi, come la Cina e l’India, che – per sostenere la loro crescita economica – tuttora non possono fare a meno di bruciare ogni anno milioni di tonnellate di carbone e petrolio (le emissioni di Cina più India sono pari al 37% del totale mondiale2).

Ma che ci siano forti resistenze politiche agli impegni cogenti è un fatto che non può stupire, nessuno vuole rinunciare al benessere economico (acquisito o da acquisire) in nome della transizione green.

E dire che quest’anno la sede della COP era a Belém, città brasiliana scelta simbolicamente come porta di accesso all’Amazzonia, sotto attacco da decenni per utilizzare il suo legname e, soprattutto, terra per coltivazioni e pascoli (per il mondo ricco).

Se i risultati in termini di impegno nella riduzione dell’uso di combustibili fossili e quindi di immissione di gas climalteranti in atmosfera sono stati deludenti, rileviamo comunque un risultato potenzialmente importante ma che è già fonte di polemiche e controversie.

Parliamo della costituzione di un fondo per la difesa delle foreste: il TFFF, Tropical Forests Forever Facility. La creazione di questo fondo è stata fortemente voluta e spinta dal presidente brasiliano Lula, appunto come strumento finanziario indispensabile per la salvaguardia delle foreste tropicali, a cominciare dall’Amazzonia stessa. L’idea che sta alla base di questa decisione è che serve una visione globale della gestione dei suoli da difendere dall’antropizzazione: dalle foreste, all’agricoltura, ai pascoli.

Proteggere le foreste è strategico. La loro importanza per lo stoccaggio della CO₂ è fondamentale e, specularmente, i numerosissimi disastrosi roghi che devastano ogni anno milioni di ettari in ogni parte del mondo, provocano l’immissione di enormi quantità di biossido di carbonio in atmosfera. L’esatto opposto di ciò che le foreste possono fare in positivo per il pianeta.

Il concept progettuale del fondo era già stato presentato durante la COP28 ma è appunto in questa COP30 che lo strumento è nato ufficialmente, per creare un vantaggio economico per i Paesi che proteggono o ripristinano le foreste e la biodiversità, trasformando la tutela della natura in un’opzione economicamente competitiva rispetto alla sua distruzione.

Il fondo si propone di raccogliere risorse molto ingenti. Al momento del lancio, gli impegni di spesa dei Paesi partecipanti ammontavano a circa 5,5 miliardi di dollari, ma l’obiettivo dichiarato è di arrivare a 125 miliardi.

L’obiettivo principale del fondo è, quindi, quello di creare un flusso costante e continuo di denaro per ogni ettaro di foresta preservata o ripristinata.

Attenzione però: il fondo non destinerà i 125 miliardi di dollari (per adesso esistenti solo come impegno) direttamente nelle attività di salvaguardia; il capitale sarà investito sui mercati globali in attività finanziarie a basso rischio (titoli di Stato, obbligazioni di grandi enti…) e punta a ricavare circa 4 miliardi di dollari all’anno di interessi. Sono quei 4 miliardi che verranno destinati alla missione del fondo.

Si tratta quindi di un investimento finanziario che preserva il capitale e utilizza gli interessi generati per realizzare l’attività ad impatto ambientale e sociale.

Ma a chi arriverebbe questo flusso di denaro? Il 20% sarebbe destinato alle popolazioni locali e indigene, per garantire un improvement sociale per la loro vita e come riconoscimento del loro ruolo di difensori della foresta. L’altro 80% è destinato al manejo forestal, ovvero alla gestione forestale sostenibile che garantisce, appunto, la difesa e la riforestazione. Va ricordato però che le regole di distribuzione sono ancora in fase di definizione; al momento queste percentuali rappresentano solo un obiettivo dichiarato, non un meccanismo operativo consolidato, e a molti commentatori sembra che la quota destinata alle popolazioni locali dovrebbe essere più elevata.

I sostenitori del TFFF lo presentano come un passo avanti concreto di giustizia ambientale e sociale e, quindi, verso il raggiungimento degli obiettivi di Parigi. Con questo piano la conservazione naturale viene remunerata in modo sistematico e duraturo, rendendo la tutela un’opzione economicamente competitiva rispetto alla deforestazione.

Attualmente sono coinvolti cinquanta Paesi, Italia compresa, e diciannove fondi sovrani, ma si pensa a un allargamento a tutti i Paesi dell’UNFCCC per un impegno veramente globale a favore della conservazione degli ambienti naturali e contro la crisi climatica.

Ad oggi il finanziamento dei progetti a difesa delle foreste, i cosiddetti progetti REDD+ (Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation), avviene attraverso l’emissione di crediti di carbonio; titoli che rappresentano la rimozione di una tonnellata di CO₂ e che vengono acquistati sul mercato obbligatorio (grandi aziende inquinatrici, ad esempio le siderurgiche) o sul mercato volontario (aziende che acquistano per senso di responsabilità e per motivi reputazionali).

È chiaro che il TFFF sarebbe un passo avanti perché renderebbe il finanziamento costante nel tempo e non legato all’andamento di singoli progetti, e perché sgancerebbe il finanziamento stesso dalla logica dell’emissione dei crediti di carbonio che tante discussioni e polemiche ha creato in questi anni.

Tutto bene, quindi?

Presto per dirlo, ma sono arrivate immediatamente anche molte critiche. Il problema che segnalano molti osservatori è il pericolo di un eccesso di dipendenza della tutela naturale da meccanismi finanziari; meccanismi che hanno i loro centri decisionali nei Paesi economicamente forti. Si teme quindi una posizione di subalternità dei Paesi in via di sviluppo, dove invece sono presenti le grandi foreste da preservare3.

L’altro tema di discussione è che le regole di distribuzione dei fondi sono ancora tutte da scrivere e c’è scetticismo sulla possibilità di realizzare una distribuzione equa delle risorse in base alle reali necessità dei territori.

Tuttavia non si può non considerare che anche a fronte di queste legittime perplessità, il TFFF può diventare uno strumento di salvaguardia della natura più efficace rispetto a quanto si è visto fino ad oggi, anche perché ci libererebbe dal meccanismo di emissione dei crediti di carbonio come fonte di finanziamento. Meccanismo che continua ad essere estremamente controverso nel calcolo della CO₂ rimossa e nei conseguenti aspetti finanziari.

La comunità impegnata a dar vita a questo strumento è chiamata a un grande sforzo per determinare regole chiare, trasparenti e che impediscano attività di greenwashing.

Quindi, se il TFFF si rivelerà uno strumento efficiente e giusto, potremo dire che la COP30 sarà stata molto più utile di quanto sia sembrato a fine lavori.

Ma per capire se sarà così ci vorranno anni.

 

NOTE:

1 L’obiettivo principale della COP21 era di mantenere l’innalzamento della temperatura globale del pianeta entro 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali

2 Fonte Euronews

3 Qualcuno potrebbe chiedersi perché sia il TFFF, sia i progetti REDD, riguardino solo le foreste tropicali (Amazzonia, Africa, Sud est asiatico) e non già anche le foreste boreali, come le foreste siberiane e canadesi. Il motivo è duplice: da un lato le foreste tropicali sono quelle maggiormente sottoposte a deforestazione per motivi economici; in Siberia e Canada ci sono stati negli ultimi anni gravissimi incendi che hanno distrutto milioni di ettari ma si è trattato di incendi in parte anche dolosi ma non provocati con l’intenzione di destinare ad altro uso le parti di foreste bruciate. Il secondo motivo è che si tratta di foreste che insistono su Paesi economicamente forti che non hanno bisogno di aiuti finanziari per la gestione delle stesse.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:

– Valori.it – Come funziona il Tropical Forest Forever Facility (TFFF)

– Wired – Dalla COP 30 può nascere la vera alternativa all’economia della deforestazione

– COP30 Official Website

– Sapereambiente – Dalla Cop30 il fondo per la conservazione delle foreste tropicali

– Project Drawdown – What to know about the Tropical Forest Forever Facility from COP30

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