L’industria digitale ha ormai da tempo colonizzato completamente il mondo dell’educazione e della formazione in tutte le sue componenti, dalle scuole elementari all’università, senza peraltro conseguire gli effetti migliorativi a suo tempo promessi.[1] Da ultimo, questo fenomeno si manifesta, in particolare, sotto forma di onnipresenza della intelligenza artificiale, che sempre più si configura non solo come un insieme di applicazioni e servizi più o meno utili, ma anche come il must-have della stagione, per dirla con il linguaggio della moda. Non c’è azienda, amministrazione pubblica, giornale, apparato poliziesco, militare o governativo, giù giù fino all’ultima gelateria e bocciofila, che non ritengano proprio dovere affidarsi ai fantasmagorici servigi dell’IA (se poi ci si accorge che i vantaggi sono scarsi o nulli, fa niente: è un Dovere, una Fede, forse anche un Mistero… “E chi siamo noi per rifiutarla”?).
Il mondo dell’educazione e dell’università, per certi aspetti, guidano questa Marcia Gloriosa del Progresso. È del resto recente l’ultima profezia dell’immarcescibile Bill Gates (peraltro già sentita giusto un migliaio di volte) sulla prossima estinzione di medici e insegnanti: «in futuro gli esseri umani non saranno più necessari per la maggior parte delle cose, oltre ai medici si potranno rivoluzionare metodologie didattiche e il ruolo stesso dell’insegnante; sistemi basati sull’intelligenza artificiale possono fungere da tutor personalizzati».[2]
A che punto sono arrivate le cose si può vedere chiaramente da una notizia che ho scovato in un oscuro (ma sempre ben informato e curioso) quotidiano economico italiano, di cui mi sembra opportuno dare conto su “Controversie” (Carlo Valentini, L’ateneo che ha sposato l’IA, “Italia Oggi”, 5 febbraio 2025, p. 6). Si tratta dell’Università di Padova e della sua scelta di dotarsi di un proprio sistema di IA capace di coprire grande parte dell’attività amministrativa, di informazione ma anche didattica dell’ateneo.
Presentato (togliattianamente) come «la via italiana all’intelligenza artificiale», pare che questo sistema sia uno dei più avanzati d’Europa in ambito accademico. Il suo nome è LucrezIA, in omaggio a Lucrezia Corner Piscopo che, laureatasi (in Filosofia) a Padova nel 1678, può essere considerata la prima donna laureata del mondo.
1. LE FUNZIONI DI LUCREZIA
LucrezIA consente all’utente di ottenere tutti i documenti prodotti dall’Università di Padova, tutti i servizi offerti dall’ateneo, ma soprattutto – ed è quello che qui interessa – è a disposizione per le attività didattiche; anzi, ne è caldamente consigliato l’uso. Leggiamo, infatti, che gli studenti «possono avvalersi di ChatUniPd anche per elaborare la tesi di laurea, pur se con qualche cautela».
Capito? Son passati i tempi in cui uno si iscriveva all’università e concludeva il proprio percorso di studi preparando una dissertazione detta tesi di laurea: adesso la tesi se la fa fare dall’IA. Certo, però, «con qualche cautela». Ma come? Non siamo, ormai da tempo, nelle scuole come nelle università, alle prese con eserciti di giovani che scopiazzano dalla rete, tanto che sono stati inventati addirittura dei ridicoli “software antiplagio”? Non ci si lamenta, da tempo, che in ogni caso contrastare questa tendenza è una battaglia assai ardua, data la onnipervasività dell’informazione online? Che fare, allora? Ma certo! Invitare direttamente gli studenti a usare l’IA per realizzare la propria tesi… Come abbiam fatto a non pensarci prima!
E allora, di grazia, cosa vogliamo da questi nostri figli? Vogliamo che copino mettendo da parte il cervello, perché ormai la cultura è questo rifriggere cose rifritte (con tanti saluti per ogni guizzo di pensiero critico e autonomo – forse il vero obiettivo strategico del Potere attuale), oppure vogliamo che ancora pensino e studino in proprio? E che messaggio mandiamo, allorché gli facciamo sapere che devono fare la tesi con LucrezIA, però – sia ben chiaro – con «qualche cautela»?
Sapete a cosa mi fa pensare tutto questo? Mi fa pensare alla teoria del doppio legame [double bind] di Gregory Bateson.[3] Ricordiamola brevemente.
Secondo l’antropologo, psichiatra e zoologo britannico (1904-1980), patologie psichiche come la schizofrenia sarebbero causate da forme di comunicazione ambivalente interne alla famiglia, in particolare nella relazione del bambino con membri significativi, tipicamente con la madre (ma non solo). Posto, per esempio, in una situazione in cui la mamma gli chiede di abbracciarlo ma in realtà gli fa capire con il linguaggio del corpo o con altre forme di meta comunicazione che non ne ha alcuna voglia, il bambino vivrà una situazione senza uscita: non potrà riconoscere una mancanza di affetto da parte di una figura per lui vitalmente importante, ma neanche accogliere il messaggio “dichiarato”. Con effetti, a parere di Bateson, altamente dannosi sul piano psicologico.
In modo forse non molto dissimile, la comunicazione disfunzionale del capitalismo tecno-nichilista attuale comunica allo studente una doppia ingiunzione contraddittoria:
(1) usa gli strumenti dell’IA per produrre in forma automatica la “tesi di laurea”, così da essere pienamente un abitatore del tempo presente;
(2) ma anche cerca di essere un bravo studente, autonomo, originale, che controlla e verifica le fonti, uno studente “come ai vecchi tempi”, potremmo dire.
Il potere oggi vigente non può e non vuole vietare o anche solo limitare una tecnologia, fosse pure totalmente distruttiva,[4] ma non è neanche ancora pronto a liquidare apertamente i vecchi cascami della Cultura come appunto l’università europea (ci tiene forse ancora, a scopo ornamentale, come un tempo molte famiglie borghesi tenevano le librerie rifornite di volumi elegantemente rilegati all’unico scopo di esibirne i dorsi dietro le vetrine ben chiuse…). Di qui il messaggio ambivalente.
Ai ragazzi di oggi, incolpevoli destinatari di questa comunicazione patogena, la mia piena solidarietà, non disgiunta dall’invito alla rivolta.
2. ABOLIRE LE UNIVERSITÀ?
Continuiamo comunque nella lettura dell’articolo. Apprendiamo anche che grazie a LucrezIA «si è potuto realizzare un intero libro», di ben 241 pagine, intitolato Dialoghi con il futuro sulle future trasformazioni indotte nella società dai sistemi di intelligenza artificiale. E non solo. Per iniziativa di un docente dell’Università di Padova esperto di tecnologie digitali,
«è stato chiesto all’IA come Marx avrebbe commentato l’avvento dell’intelligenza artificiale. Questa è stata la risposta: “Se fossi Karl Marx, potrei considerarne l’avvento da una prospettiva critica. Marx era un teorico sociale ed economico noto per la sua analisi critica del capitalismo, e probabilmente esaminerebbe come queste nuove tecnologie influenzano le dinamiche di potere e le relazioni di produzione. (…) Marx potrebbe esplorare come la proprietà e il controllo dei mezzi di produzione delle informazioni influenzano la struttura sociale ed economica. Inoltre potrei considerare come l’automazione e l’intelligenza artificiale impattano sul lavoro umano. Marx si sarebbe interessato alle implicazioni per la classe lavoratrice e a come la tecnologia può essere utilizzata per migliorare o minacciare il benessere delle persone”. Commenta Nicola Bruno: “Da questo esempio emerge come l’IA possa essere usata con una prospettiva fuori dagli schemi. Collegando il pensiero di Marx alle tecnologie contemporanee un docente potrebbe trarre spunto dalla risposta dell’IA per spiegare la filosofia di Marx calandola nell’attualità”».
Sì, senz’altro, Marx potrebbe dire queste e simili cose sull’introduzione dell’intelligenza artificiale. Sicuramente, poi, un docente universitario potrebbe «trarre spunto» da quanto gli ha detto LucrezIA per fare una lezione o due su Marx…. Ma – mi chiedo e chiedo ai lettori – queste cose non potrebbe anche pensarle un docente a ciò deputato e a questo fine retribuito dall’università stessa, senza alcun bisogno di… interpellare l’IA? Non potrebbe un docente dell’università stessa, forte di un suo percorso di studi in filosofia o sociologia o economia che immaginiamo gli abbia fruttato il posto che occupa, scrivere un saggetto di quel genere, o organizzare una lezione o un corso, «calando nell’attualità» il pensiero di Marx? Non potrebbe, secondo la humboldtiana concezione dell’università di cui in Europa un tempo mi pare ci vantassimo, preoccuparsi di trasmettere il suo sapere e i risultati delle sue ricerche agli studenti che hanno la ventura di frequentare l’università (cacciando, peraltro, un po’ di soldini) e che coronano infine il loro percorso di studio appunto con la redazione di un saggio? Non era proprio questo, almeno fino a qualche annetto fa, il fine delle nostre università? Ma, allora, perché non abolirle proprio?
Poscritto – Al momento di chiudere questo articolo, apprendo che all’Università di Cassino si è tenuta la prima discussione di laurea sostenuta da un… avatar digitale. Durante l’esposizione – ci informa “Il Messaggero” – la candidata si è limitata «ad assistere la sua rappresentazione AI», da lei debitamente istruita e “allenata” con i contenuti della sua ricerca.
Dopo gli operai, anche gli studenti sempre più «appendici umane» (di marxiana memoria) del sistema di macchine?
NOTE
[1] Di «politiche forsennate della digitalizzazione del sistema scolastico, dall’asilo fino all’università» parla Michel Desmurget (Il cretino digitale, Milano, Rizzoli, 2020, p. 237), che porta molti dati sulle recenti ricerche (PISA ecc.) in base alle quali emerge che digitale e buoni risultati scolastici non sono affatto direttamente proporzionali (cfr. p. 237 e seg.). Per un bilancio critico equilibrato sulla questione dell’invasione tecnologica negli ambienti scolastici, si veda Marco Gui, Il digitale a scuola. Rivoluzione o abbaglio?, Bologna, Il Mulino, 2019. Da notare che considerazioni critiche filtrano anche in testi decisamente apologetici come, per esempio, Luca Tremolada, La lezione è finita, Milano, Il Sole 24 Ore, 2024.
[2] Cfr. Bill Gates: l’intelligenza artificiale sostituirà medici e insegnanti entro 10 anni, “com.unica”, 2 aprile 2025, https://www.agenziacomunica.net/2025/04/02/bill-gates-lintelligenza-artificiale-sostituira-medici-e-insegnanti-entro-10-anni/ e Paolo Del Debbio, Gates tifa l’intelligenza artificiale per rimpiazzare dottori e docenti, “La verità”, 3 aprile 2025, p. 15.
[3] Cfr. Gregory Bateson, Verso una teoria della schizofrenia (1956), in Id., Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi,1976, p. 244-274. L’idea di applicare questo concetto di Bateson al linguaggio della comunicazione tipico delle società capitalistiche avanzate è in Nello Barile, La mentalità neototalitaria, Milano, Apogeo, 2008. In effetti, il discorso pubblico neoliberale è ricco di queste ingiunzioni contraddittorie: pensiamo al campo del lavoro, nel quale da un lato viene mantenuta la retorica (per così dire “weberiana”) della professionalità, del lavoro e dell’impegno (lo abbiamo visto di recente in Italia, quando si voleva demonizzare il reddito di cittadinanza!), ma dall’altro l’estrema precarietà estrema, i bassi salari, i miti della società liquida, nonché la continua evocazione della robotizzazione imminente spingono i lavoratori a perdere qualunque tipo di attaccamento al lavoro (cfr. Francesca Coin, Le grandi dimissioni, Torino, Einaudi, 2023).
[4] «VIETATO VIETARE, la legge fondamentale del progresso tecnoscientifico è diventata dunque l’unica legge di un mondialismo senza legge?» si chiedeva retoricamente Paul Virilio in L’incidente del futuro, Milano, Cortina, 2002, p. 32.