Su Controversie, qualche mese fa abbiamo aperto un’interessante quanto feconda discussione, che verte sul rapporto tra I.A. e arte (oppure, tra intelligenza artificiale e intelligenza umana durante il processo artistico).
Abbiamo declinato questo tema secondo diversi percorsi di riflessione e svariati argomenti quali la creatività, l’essenza dell’artista, il futuro della stessa pratica artistica o, infine, l’I.A. come inciampo nella storia dell’arte.
Insomma, il dibattito che abbiamo avviato nelle scorse settimane ha aperto numerose ramificazioni e possibilità argomentative, grazie ai contributi sia di membri della Redazione di Controversie, sia di autori ospiti. Tra i secondi, lo scorso dicembre abbiamo pubblicato le impressioni di Aleksander Velišček, artista visivo che lavora anche con l’I.A. Nel suo intervento, Aleksander scrive che l’artista umano svolge un ruolo fondamentale nella creazione di un’opera con questa tecnologia, affermando inoltre che «l’I.A. è sicuramente uno Strumento, sempre più potente e innovativo, ma non sostituisce l’immaginazione e il giudizio umano».
I nostri ragionamenti ripartono proprio da intuizioni simili; infatti, il nostro viaggio riprende da questa domanda: nell’epoca dell’I.A., qual è il destino dello stile? Di fronte a uno strumento che potenzialmente può copiare qualunque stile, la mano dell’artista scompare oppure si innova?
Lascio dunque la parola ad Aleksander.
ALEKSANDER: Da pittore e grande amante della storia dell’arte in questo scenario, diventa quasi “ingenuo” pensare che un artista possa ancora essere autore di uno stile unico. Oggi, più che mai, è un trasformista estetico consapevole, che attraversa “stili” con lucidità e intenzione. Lo stile non è più una firma permanente, ma una scelta strategica, funzionale all’idea o al messaggio di ciascun progetto. Il concetto di coerenza evolve: ciò che tiene insieme una produzione non è più la ripetizione stilistica formale, ma la forza del pensiero critico, la visione che attraversa le opere.
A questo punto cito una riflessione di Magnus Carlsen, ex campione del mondo di scacchi, ormai diventata quasi una citazione classica. Secondo lui, non ha più senso sfidare un computer: “Non posso batterlo, quindi non lo considero più un avversario”. La vera svolta però non sta nella resa, ma nel cambio di prospettiva: e se l’AI, invece di essere un nemico da superare, diventasse un compagno di gioco?
Cosa succede, allora, se la pittura non è più legata a uno stile personale ma a una logica relazionale, situazionale, processuale? Il destino dello stile potrebbe non essere la scomparsa, ma il suo smembramento. Diventa instabile, mobile, diffuso. Non più segno di una coerenza autoriale, ma frammento di una conversazione continua tra intelligenza “umana” e intelligenza “artificiale”.
Studi preliminari a olio su carta, misure variabili – esempio del processo di collaborazione tra me e il mio collega ChatGPT per ricreare un finto dipinto di Peter Paul Rubens a tema Bacco.
Autori
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Laureando in Scienze Filosofiche all’Università degli Studi di Milano, appassionato di gender studies, studioso di sociolinguistica e fan di Corto Maltese. Genera immagini con l'I.A., insegna, viaggia, fa surf - quello vero - sulle onde oceaniche. Lì trova le ragioni più profonde.
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Aleksander Velišček (Šempeter pri Gorici, 1982) è un artista visivo che vive e lavora a Gorizia, anche se spesso lo trovi in viaggio tra una residenza artistica e una mostra. Laureato in Arti Visive all’Accademia di Belle Arti di Venezia nel 2010, da allora ha aggiornato il suo curriculum con premi, esposizioni e residenze. Ha esposto in Italia, Francia, Slovenia, Croazia, Austria, e le sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private. Co-fondatore dell’audace collettivo Associazione Fondazione Malutta, alterna la pittura alla lettura filosofica e a qualche partita a scacchi – perché anche l’arte, tra le tante cose, è una strategia.
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