Quando si parla di Cartesio (1596 – 1650) non va dimenticato che è uno scienziato (si direbbe oggi), un filosofo naturale (si diceva ai suoi tempi) che lavora per anni in modo moderno basandosi sul dubbio, rifuggendo il dogmatismo, osservando e costruendo le teorie sull’osservazione e sulla confutazione, discutendo con i suoi pari e antagonisti sulla fisiologia dei viventi, e che da questa fisiologia prende forma la sua teoria dualista del corpo e della mente.
Fisiologia dei viventi, sì; ma con al centro di tutto l’uomo[1]. Infatti, nella prima parte della sua opera, Descartes non considera gli animali se non di sfuggita e in modo conformista: l’animale è quello della tradizione aristotelico-scolastica, con qualche facoltà psichica ma senza intelligenza.
“quanto alla ragione o buon senso, essendo questa la sola cosa che ci fa uomini e ci distingue dalle bestie” (Descartes, R, Discorso sul metodo e meditazioni filosofiche, Universale Laterza, 1978, p. 4)
Probabilmente a Descartes importava poco, degli animali, e non poteva essere collocato in modo netto su nessun versante della controversia naturalista e filosofica, tra teriofili e non-teriofili che si sviluppò in Francia nella modernità [2] – cioè tra filosofi naturali e pensatori che sostengono che tra umano e animale non ci sia una grande distanza, in termini di fisiologia di capacità morali, di sensibilità e di intelligenza e, al contrario che ritengono gli animali inferiori all’umano secondo tutti questi aspetti.
La fisiologia dell’umano è, invece, al centro de L’Homme, che Descartes inizia nel 1630 e continua a scrivere per un decennio ma che non pubblica in vita [3].
Ne L’Homme, Cartesio sviluppa una fisiologia ponderosa, ampia, dettagliata, in parte sostenuta da osservazioni naturaliste, in parte congetturale o basata su teorie della tradizione, in cui il corpo, la res estensa, ha un ruolo molto ampio, acquista mano a mano sempre più potere, invade le aree della sensibilità, dell’adattamento, del pensiero e del giudizio.
Per Descartes, però, si delinea un rischio: perseguire la strada intrapresa con L’Homme, in cui le facoltà dell’adattamento all’ambiente, il pensiero e il giudizio sono funzioni del corpo, significa puntare verso il materialismo e il determinismo.
E, come se non bastasse, questo mette a repentaglio anche una serie di punti importanti del suo stesso pensiero e vitali per il contesto in cui vive e lavora il fisiologo Cartesio: la preminenza della ragione, la mente, la libertà di scelta e, addirittura, l’esistenza e immortalità dell’anima.
Come può fare, Descartes a salvare capra e cavoli, a mantenere, cioè, la fisiologia potente del corpo e, nello stesso tempo non mettere in crisi il potere della ragione, la scelta, l’anima immortale, e – in definitiva – il giudizio come parte della componente spirituale dell’umano, della sua mente?
Un modo valido per coniugare queste due esigenze sembra essere la separazione di corpo e mente, il dualismo. Cioè, la divisione della fisiologia del vivente, con il corpo sede di funzioni della sensibilità, meccaniche, operative, di senso, e la mente che raccoglie, decodifica, decide e imposta valutazione, pensiero e azione.
Tuttavia, per non sminuire il lavoro fatto ne L’Homme, il “corpo-da-solo” deve poter essere autonomo, deve poter vivere senza pensiero, senza emozioni, senza anima, senza valutazione e giudizio.
Facile a dirsi ma difficile, però, a dimostrarsi; non sembrano esserci umani viventi che possono impersonare la mente senza corpo (certo, c’è l’anima immortale una volta separata dal corpo; ma questa è materia religiosa) né, tantomeno, un corpo ben funzionante senza la mente[4]
In soccorso di Descartes arrivano gli animali! Corpi e solo corpi, ottimamente funzionanti – in molti casi meglio degli umani: reattivi, efficaci e, nello stesso tempo, non senzienti, non pensanti, senza giudizio, senza scelta. Quindi, autonomi e automatici!
“molti animali, pur dimostrando maggiore abilità di noi in alcune loro azioni, non ne dimostrano affatto in molte altre: di modo che, quel ch’essi fanno meglio di noi, non prova affatto che abbiano ingegno, perché, se così fosse, ne avrebbero più di noi e anche nel resto farebbero meglio; ma prova piuttosto che non ne hanno punto, e ch’è la natura quella che opera in essi secondo la disposizione dei loro organi: a quel modo che un orologio, composto solo di ruote e di molle, conta le ore e misura il tempo più esattamente di noi con tutta la nostra intelligenza”. (Descartes, R, Discorso sul metodo e meditazioni filosofiche, Universale Laterza, 1978, p. 42)
Questa degli animali automatici è una soluzione, tutto sommato, molto a buon mercato; perché gli animali non possono lamentarsi e perché c’è già una ampia letteratura anti-teriofila, tra scienze naturali e fisiologia, che non attribuisce funzioni “superiori” ai non umani.
E non è una soluzione qualunque perché, se da un punto di vista epistemologico, Descartes mette al sicuro la veracità della conoscenza con il lumen naturale, con il cogito e – alla fine – con la garanzia della rappresentazione garantita da Dio, dal punto di vista ontologico, l’animale-macchina “salva” l’autonomia delle due res, cogitans e estensa, l’anima immortale, tutta la fisiologia.
E, da allora, gli animali non umani sono sempre più macchine, bruti, senza sentimenti, senza patimenti, oggetti. Fruibili a fini filosofici e “buoni da usare” (non solo da mangiare).
NOTE
[1] Inteso come essere umano. Cartesio non avrebbe, però, mai detto ‘essere umano’, e certamente non pensava alla parità di genere.
[2] A partire da Montaigne fino a Rousseau; per approfondimenti, cfr. Boas, The Happy Beast in French Thought of the Seventeenth Century, John Hopkins Press, 1933 e Singer P., La nuova rivoluzione animale, Il saggiatore, 2024, pagg. 61 e segg.
[3] Cfr.: Corpus Descartes, Édition en ligne des œuvres et de la correspondance de Descartes, https://www.unicaen.fr/puc/sources/prodescartes/accueil.html
[4] I tentativi di considerare corpo senza mente diverse forme di disabilità mentali non sembrano dare risultati validi: l’osservazione e la fisiologia mettono sempre in luce scampoli di mente sensibile
Autore
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Laureato in Scienze Filosofiche all’Università degli Studi di Milano e manager. Scrive appunti sul rapporto tra scienze, tecnologie e morale anche quando pedala come un pazzo, la domenica mattina. A volte dice di lavorare.