In Flush, una biografia[1], Virginia Woolf fa parlare Flush, un cane, un animale non umano, in un modo che si manifesta ad una distanza davvero minima dall’umano, in cui si riscontrano una corporeità fortemente antropomorfa e delle forme di intelligenza che ricalcano, almeno in parte, lo schema delle intelligenze multiple[2]: l’intelligenza sociale, quella mappale, la pragmatica, la mimetica.

Questo racconto mette in scena la società patriarcale inglese e la concezione dell’animale e della donna che fanno capo a questo modello sociale; anticipa, in maniera non del tutto esplicita, una parte dei temi dell’impegno femminista, seppure sotto una patina snob ed elitaria, a favore del suffragio, della possibilità di studiare e di lavorare davvero, della autodeterminazione delle donne, poi sviluppati nelle Tre ghinee; è un racconto affettuoso e intellettualmente onesto, in cui si ritrovano molti dei temi che afferiscono al concetto di costruzione sociale dell’animale.

Woolf utilizza una prosopopea[3] indiretta, in grado di attribuire pensieri e scelte morali in forma condizionale al cane: “sono io che dico che pensa questo, senza esserne certa”, questo sembra essere il suo intertesto.

“Flush” è – di fatto – un inseguimento di biografie: Woolf racconta da narratrice fuori campo la vita di Flush e, nel farlo, mette in scena – secondo il punto di vista di Flush – uno spaccato biografico di Elisabeth Barret Browning, che dura quanto la vita di Flush con lei, i 12 anni dal 1842 al 1854.

Il libretto racconta di Elisabeth, invalidata da una malattia (riconducibile ai nervi, all’ansia o all’effetto dell’atmosfera paternalista e patriarcale della famiglia Barrett) che le non le permette di uscire dalla sua stanza, dell’arrivo e dell’amore di Robert Browning, del rapimento di Flush – che è un punto di snodo della storia e delle percezioni di tutti – del trasferimento della coppia a Firenze, del ritorno a Londra e del successivo e definitivo ritorno di Flush a Firenze.

Siamo di fronte ad un testo-pretesto per narrare la biografia di Elisabeth Barret Browning, il patriarcato inglese, la critica sociale alla nobiltà inglese e alle sue idiosincrasie, la critica all’illuminismo e alle – in un gergo femminista diffuso oggi – menxplenation nella cornice un po’ stereotipata della vita genuina, piena di eros e di luce, in Italia.

COSTRUZIONE SOCIALE E LETTERARIA DEL CANE

Il cane Flush, archetipo dei cani è definito e raccontato con diversi registri narrativi, ognuno dei quali rispecchia il soggetto con cui in quel momento ha a che fare Flush e – di conseguenza – diverse possibili forme di costruzione sociale dell’animale

Consideriamo solo i registri narrativi più aderenti al tema dell’animalità:

  • il registro formale, quasi istituzionale e imperiale, dedicato al razzismo della linea di sangue del cane; è collegato alla medesima ossessione della linea di nobiltà nella società inglese umana – e insieme di costruzione tradizionale del cane
  • un registro apertamente patriarcale, il cui esemplare rappresentativo è Mr. Barrett, patriarcale nei confronti della figlia, della sua malattia e anche del cane Flush, che non è neppure considerato poiché non fa parte del suo universo, a differenza dell’altro cane, il segugio Catilina, che ha un senso pratico: è un segugio!
  • il registro illuminista, raziocinante, positivista e essenzialista di Robert Browning, che è il modo di essere colto e progressista del patriarcato
  • due registri di Elisabeth Barrett Browning: uno arcadico, romantico, anche questo piuttosto tradizionale, e un registro più intimo che trascende la banalità stereotipata
  • un ultimo, fondamentale registro: quello di un narratore che si immerge in una caninità profonda, inevitabile, materialista, centrata sulla corporeità

FORMA

Troviamo questo registro nel primo capitolo, nel racconto della razza Spaniel, in paragrafi permeati di specismo e di gradi gerarchici di nobiltà – con un raffronto con la nobiltà umana: “il cane come si deve” deve essere così e così, deve seguire delle linee di discendenza e avere dei tratti somatici ben precisi – una linea di demarcazione netta tra pedigree e niente del tutto (p.10)

Fa parte di questo schema di costruzione sociale anche la nozione di cane oggetto di contrattazione, cosa da comprare e da vendere, proprietà che può essere alienabile o non alienabile. Flush è inalienabile per Miss Mitford, “appartiene a quel raro ordine di oggetti che non può essere messo in relazione col denaro” (p.18) ma che si può regalare, suo malgrado. E viene quindi regalato alla signorina Barrett (p. 19).

TRADIZIONE

Ecco, in questo modello, la connotazione più tradizionale delle caratteristiche del cane: fedele, sensibile, innamorato del padrone in modo stereotipato e, nello stesso tempo, istintivo, legato al presunto ricordo ancestrale della caccia. È l’animale “tutto instinto”, senza mente, senza intelligenza, senza raziocinio – contrapposto alla tradizione metafisica di casa Barrett, e alla razionalità di Robert Browning.

PATRIARCATO

Centrato sul padre di Elisabeth, oppone al rapporto di amorosi sensi di Elisabeth con Flush la praticità funzionale di Catilina, segugio che ha la sua ragione d’essere nella caccia; alla sensibilità di Elisabeth la durezza del patriarca che decide per conto della figlia, che si prende cura di lei con piglio militaresco (“il pranzo è stato consumato? sono state eseguite le mie disposizioni?”), dando ordini e pretendendo risultati.

Il patriarcato[4] ha la sua espressione più esemplare nell’episodio del rapimento, quando Mr. Barrett decide inappellabilmente che non si pagherà il riscatto. Flush, nella concezione del patriarca è un non-umano, un animale distante, irrilevante, al massimo funzionale a dare un po’ di svago alla figlia convalescente ma sostituibile. Morto un Flush se ne fa un altro.

ILLUMINISMO

È Robert Browning. Distantissimo da Flush nel periodo del corteggiamento, al massimo condiscendente: anche per Browning Flush è un cane, un animale senza anima, senza mente, senza i caratteri che distinguono l’umano dall’animale. Non è degno di interesse se non come epifenomeno dell’amata Elisabeth[5]. Robert Browning “passa sopra” Flush in senso fisico: anche quando viene morso per gelosia non reagisce, passa sopra, oltre. Ci si può occupare di un piccolo cane quando la vita chiede la poesia? Eppure, ancora, per il principio del prolungamento e dell’ingraziamento dell’amata, Robert porta i pasticcini proprio per Flush.

Browning, però, è illuminista, razionalista e idealista, tutte caratteristiche che suggeriamo essere necessarie per essere patriarcale. Affronta gli eventi della vita con lo stesso atteggiamento da uomo di grandi dimensioni con cui si muove, si toglie i guanti gialli, si siede con ieraticità nella poltrona che gli verrà riservata.

Il razionalismo idealista e la concezione dell’animale che ne fa parte, emerge in modo palese dopo il rapimento: Browning spiega con autorevolezza che non si deve pagare il riscatto per non cedere al ricatto del male contro la legalità, per non permettere il dilagare della malvagità, per preservare il lato sano dell’umano. Il cane Flush, animale senza rilevanza etica, va in minoranza, è sacrificabile, deve – anzi – essere sacrificato sull’altare del principio. («di un eroe morto che se ne farà?», cantava De Andrè). (p. 85)

MATERIALISMO, VICINO ALL’ANIMALITÀ

È il registro più genuinamente vicino alla caninità, intesa come modo di essere animale condiviso con l’umano. Emerge nei momenti in cui Flush “esce” dagli stereotipi tradizionali e “entra” nella dimensione della corporeità, dominata dai sensi e dai bisogni, con due modalità di espressione.

La prima è quella della libertà di movimento: Flush stava bene a Three Miles Cross, dove poteva girare liberamente nella tenuta e viene, poi, chiuso dentro ad una stanza, in cui la libertà di movimento è ridotta drasticamente “sulle prime la costrizione era insopportabile”. L’assenza di libertà di movimento risulta essere molto più invalidante dell’assenza di altre libertà[6], come quella di parola, ad esempio, ed è evidente la sofferenza che genera.

La seconda è la prevalenza dei sensi, soprattutto dell’olfatto: quando “sente” l’odore della femmina in calore e fugge per l’impulso sessuale (che Virginia Woolf chiama amoroso), quando entra a Wimpole Street e sente gli odori di casa, quando descrive l’ambiente in cui è rinchiuso dai rapitori, tutto fatto di odori e rumori, intensamente psichedelico, la cui immagine è fondata tutta sulla corporeità e ricorda, per la sete, il digiuno del cane kafkiano; infine, in tutta la parte del racconto che si svolge a Firenze: Flush è cane fino in fondo, dedito agli odori, alla sensualità necessaria, al mangiare e sopravvivere. (p.122)

In questo registro narrativo, la Woolf compie due operazioni di avvicinamento tra animale umano e non umano, come fa Plutarco in Grillo, in un senso attribuendo a Elisabeth una sensibilità più animale che umanista, nell’altro senso ammettendo una razionalità del cane: Flush identifica dei nessi di contiguità (se non di causalità) tra fenomeni: i segni della città dicono che deve stare al guinzaglio, è assodato; l’altra facoltà – tradizionalmente negata all’animale – che Woolf concede a Flush è la coscienza o, meglio l’autocoscienza riflessiva, quando questi si guarda allo specchio ed sollevato: è di buon rango!

Tra l’altro, questo è uno dei pochi momenti di prosopopea in forma diretta – chiacchiere classiste e snob dei cani di Wimpole street – e definitivamente funzionale ad un discorso che non riguarda gli animali non umani ma il classismo: si parla di linee di demarcazione!

ELISABETH BARRET BROWNING: ARCADIA, SPECCHIO DEL SÈ E INTIMITÀ ANIMALE

Il discorso di Elisabeth è giocato su più registri: uno arcadico, del tutto immaginario e favolistico, in cui Flush è espressione della natura selvaggia, benevola, che fa parte del sublime naturale; banalità stereotipata e stucchevole, che Woolf usa come critica al naturalismo arcadico del ‘700. Un secondo, altrettanto tradizionale, della specularità del sé: Elisabeth proietta le proprie emozioni e pensieri su Flush, facendone un cane antropomorfo e artefatto; è pura costruzione sociale, parente stretta della nozione di fedeltà canina cieca ed assoluta. Nonostante la concessione della coscienza, troviamo questo registro nell’episodio dello specchio: quando Flush si guarda allo specchio, Elisabeth lo pensa filosofo ma, in realtà, Flush pensa ai suoi quarti di sangue.

L’ultimo registro è molto intimo e avvicina Elisabeth a Flush attribuendole delle facoltà e delle affezioni caratteristiche di tutta l’animalità: essa “è” mangiare e bere, poi diventa sensualità e possibilità di affrancamento con il matrimonio e infine “è” godimento di una libertà di movimento e di determinazione mai visti prima.

È in questo registro che – sempre in occasione dello snodo narrativo e comportamentale del rapimento – Elisabeth emerge con due nozioni in controtendenza, innovative: pur consegnandosi nelle mani di un altro patriarca paternalista travestito, quale è il suo futuro marito Robert Browning, si autodetermina, si sposa contro il volere del patriarcato (ma col patriarcato) e si veste della sua rilevanza morale, in contrappunto all’antropocentrismo etico di Browning e dei Barrett.

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Per tirare le somme, in questo denso racconto, Virginia Woolf tratteggia dei caratteri tipici di tutta l’animalità, sia umana che non umana, i tratti di tranquillità di cibo e di movimento, bisogni chiave del vivente animale, gli stessi che sottolineano Cervantes in Il dialogo dei cani (Marsilio Editore, 1993) e Kafka (cit. e altre opere [7]).

A questi caratteri, Woolf oppone tre antropocentrismi:

  • ontologico: per Mr. Barrett, Flush è altro, è un animale funzionale, senza mente, senza caratteristiche umane. Per Mr. Browning, Flush è corpo, mentre lui è mente;
  • epistemologico: per i personaggi patriarcali e per quelli più feroci il cane non capisce e non sente come “noi”;
  • etico: Mr. Barrett e Robert Browning è sacrificabile, perché solo funzionale, perché eticamente irrilevante rispetto agli ideali di civiltà e di onestà.

La co-protagonista del racconto, Elisabeth, come abbiamo visto, smussa invece l’antropocentrismo ontologico, riavvicina le animalità – quella umana e quella non umana – anche epistemologicamente e nega del tutto quello etico. E va molto oltre: attribuisce a Flush la mente, l’autocoscienza riflessiva e, nella fase fiorentina, anche la progettualità, dando voce all’intenzione di riconoscere al non umano gradi diversi di intelligenza mappale, solutiva, relazionale, mimetica, autoimitativa – Flush impara dai suoi errori e dai suoi successi – e, infine, riflessiva.

 

 

NOTE

[1] Utilizziamo l’edizione Nottempo, 2012

[2] Cfr.: Biuso A., Animalia, Valverde, Villaggio Maori, 2020

[3] La prosopopea è una figura retorica che consiste nel far parlare o agire come persone esseri inanimati, concetti astratti o – appunto – animali

[4] È il patriacato che VW contrasta e denuncia esplicitamente a pag 13: “il dottor Mitford era un egoista: aveva dissipato il patrimonio suo e quello della moglie, per poi intaccare la rendita della figlia

[5] È permesso esprimere dei dubbi sul sentimento di R. Browining per Elisabeth: è sentimento vero per lei o per la sua poesia? Vero è che Elisabeth e la sua poesia sono la stessa cosa. Lei è la sua poesia.

[6] Cfr.: F. Kafka, Una relazione per un’Accademia, in F. Kafka, Racconti, Feltrinelli, 1970

[7] Indagine di un cane e Il Digiunatore, in F. Kafka, Racconti, Feltrinelli, 1970

Autore

  • Gianluca Fuser

    Laureato in Scienze Filosofiche all’Università degli Studi di Milano e manager. Scrive appunti sul rapporto tra scienze, tecnologie e morale anche quando pedala come un pazzo, la domenica mattina. A volte dice di lavorare. È il direttore editoriale di Controversie.

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