Federico Faggin fa sempre notizia, è un clickbaiting garantito, piace ai media.

Piace perché alla figura del fisico inventore (negli anni sessanta del ‘900 sviluppa la prima tecnologia per realizzare circuiti integrati in ossido di metallo, nel 1970 progetta la tecnologia per costruire i primi microprocessori Intel e nel 1974, fondata la propria azienda, la Zylog, progetta, realizza e commercializza lo Z80, il microprocessore programmabile in Assembler più semplice ed efficace per i sistemi di piccole dimensioni, come i primi home computer Commodore e i videogiochi e, nell’industria, le macchine di controllo della produzione) si affianca il visionario spiritualista, che parla di intelligenza – naturale o artificiale – di anima, di esperienze extracorporee, di quantistica, che fa sognare altre dimensioni.

Il cavallo di battaglia di Faggin è la fisica quantistica, una delle parti della fisica del ‘900 più misteriosa e intrigante, che attira i visionari più della relatività di Einstein.

Per avere un’idea del modello ontologico – poggiato sulle fin troppo ampie spalle della meccanica quantistica – proposto da Faggin si può leggere questa parte di una sua intervista rilasciata Candida Morvillo (Corriere della Sera, 25/08/2025):

«La fisica quantistica si può spiegare partendo dall’esistenza della coscienza e del libero arbitrio. Noi, quando spieghiamo ciò che proviamo, usiamo parole, gesti, ma non ci è possibile trasferire tutto. Allo stesso modo, lo stato quantistico di un campo è privato ed è conoscibile solo in parte. Quindi, noi siamo un campo quantistico e la coscienza è un fenomeno quantistico perché ha tutte le caratteristiche dello stato puro quantistico: è ben definito, è privato e conoscibile solo dal sistema che è in quello stato. Ciò riflette esattamente la fenomenologia della nostra esperienza interiore. E affermare che noi siamo un campo quantistico ci consente di capire un’altra cosa per la quale i fisici non hanno trovato una ragione: il collasso della funzione d’onda».

«La Fisica quantistica ci può dare le probabilità di ciò che potrà manifestarsi, ma non ci dirà mai cosa si manifesterà. L’esito finale, per i fisici, è casuale e non si sa perché. Invece, con questa teoria, l’impossibilità di previsione si spiega dicendo che un campo quantistico, essendo cosciente, è dotato di libero arbitrio».

Con la teoria dei quanti, Faggin spiega la coscienza come fenomeno quantistico; a ritroso, sostiene che la meccanica quantistica si spieghi proprio «partendo dalla coscienza e dal libero arbitrio», per la gioia dell’intervistatore di turno.

Posto che la relazione tra quantistica e libero arbitrio è un tema epistemologico rilevante, quasi di frontiera, a cui sono dedicati numerosi studi (ne abbiamo già parlato qui, e qui), Faggin – con le sue affermazioni si colloca tra coloro che fanno uso improprio della quantistica, usando linguaggio e immagini della teoria fisica per creare analogie con le sue convinzioni personali. Purtroppo, senza uscire dal campo delle credenze, pur essendo convinto di dimostrarle.

Proviamo a fare qualche esempio. 

Quando dice che «La fisica quantistica si può spiegare partendo dall’esistenza della coscienza e del libero arbitrio» esprime evidentemente una credenza, non certo una affermazione sostenuta da una argomentazione scientifica solida. La fisica quantistica non si spiega, è e basta. Spiegarla partendo da un fenomeno non spiegato come la coscienza è come dire che Dio esiste perché sbadiglia.

«Affermare che noi siamo un campo quantistico ci consente di capire un’altra cosa per la quale i fisici non hanno trovato una ragione: il collasso della funzione d’onda» è una frase di grande fascino per la sua altisonanza ma possiamo dire senza timore che è priva di senso logico: sostenere che noi – come fenomeno macroscopico, oggetti nell’endocosmo – siamo un campo quantistico non ha senso fisico, è già una proposizione vuota, perché, nel migliore dei casi, un corpo macroscopico contiene una miriade innumerabile di campi quantistici ma – nello stesso tempo – non può essere descritto come un campo quantistico poiché questa descrizione trascura la presenza di materia e di tutte le altre dimensioni di campo – da quello elettrico a quello magnetico. 

Dire – poi – che «questo spiega il collasso della funzione d’onda» è come dire che la panna monta quando la sbatti perché in autunno cadono le foglie.

Un altro elemento interessante delle analogie visionarie di FF è la dimensione privata della coscienza e la sua analogia con il campo quantistico: “Allo stesso modo, lo stato quantistico di un campo è privato ed è conoscibile solo in parte. Quindi, noi siamo un campo quantistico“. Indubbiamente, lo stato quantistico di una particella è un fenomeno “privato“ perché, in virtù del principio di indeterminazione e della coesistenza – in condizioni di sovrapposizione – di diversi possibili stati, esso è conoscibile solo in parte. Almeno fino al momento della misura. 

Tuttavia, partire dal principio di indeterminazione e dalla parziale conoscibilità, condizioni che accomunano il campo quantistico e l’interiorità umana, per dire che “noi siamo un campo quantistico” è un salto logico inaccettabile, un falso sillogismo, che non sembra aver colto nulla della lezione di Hume sull’evanescenza del nesso causale. In parole più dirette sarebbe come sostenere – giocando con la frase di Faggin – che le terre di proprietà di Piero, imprenditore boschivo, sono private e conoscibili solo in parte (senza dubbio, sono boschi e monti, che nemmeno lui ha mai percorso del tutto, né potrà farlo per limiti di tempo e di raggiungibilità) quindi noi siamo le terre di Piero.

In conclusione, abbiamo delle ampie riserve sulla sensatezza delle associazioni tra umano e quantistica affermate come certe da Federico Faggin.

Per onestà intellettuale va riconosciuta a Faggin una grande abilità nell’usare il linguaggio della meccanica quantistica – linguaggio serio, tecnico ma oscuro e difficilmente comprensibile a chi non vi è addentro -per generare immagini e analogia con quello che ritiene essere lo spirito umano, ma non si può non deprecare l’utilizzo di questo linguaggio per contrabbandare e legittimare come scientifiche proprie teorie, ontologie e convinzioni che nulla hanno a che fare con la fisica.

Ciò che invece gli va riconosciuto senza riserve è il fascino di quello che dice sulla coscienza come dimensione spirituale, sulla reincarnazione, sull’idea che «siamo corpi eterodiretti da una coscienza che è altrove», sui dubbi riguardo alla mortalità della coscienza, tutti pensieri che aprono una porta sulla possibile esistenza di una dimensione spirituale dell’umano. 

Opinioni che non condividiamo, ma che sono legittime, come la visione materialista. Entrambe credenze.

Autore

  • Gianluca Fuser

    Laureato in Scienze Filosofiche all’Università degli Studi di Milano e manager. Scrive appunti sul rapporto tra scienze, tecnologie e morale anche quando pedala come un pazzo, la domenica mattina. A volte dice di lavorare. È il direttore editoriale di Controversie.

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