Prosegue il nostro dibattito su arte e intelligenza artificiale, una rubrica di Controversie pensata per riflettere sul rapporto tra questi due “mondi” e come essi si possano – o meno – intersecare: necessità antica la prima, recente tecnologia la seconda.

Indagine dopo indagine, abbiamo capito che questi due mondi, apparentemente distanti, hanno in realtà diversi punti in comune, pur mantenendo ognuno le proprie specificità e caratteristiche.

Qui gli articoli precedenti:

Intelligenza artificiale e creatività – I punti di vista di tre addetti ai lavori

Intelligenza artificiale e creatività – Seconda parte: c’è differenza tra i pennelli e l’IA?

Intelligenza artificiale e creatività – Terza parte: un lapsus della storia

Intelligenza artificiale e creatività – Quarta parte: stili e strategie

Nella nostra ricerca abbiamo trattato diversi argomenti ma, dallo scorso intervento, abbiamo iniziato una serie di riflessioni focalizzate sul concetto di stile e che partono da una domanda fondamentale: nell’epoca dell’I.A., qual è il destino dello stile? Di fronte a uno strumento che potenzialmente può copiare qualunque stile, la mano dell’artista scompare oppure si innova?

In questo contributo andiamo allora a chiacchierare con Mara Palena, un’artista che lavora con la fotografia, il video e il suono, e tratta temi quali la memoria e l’identità. Ecco, quindi, la sua risposta alla domanda che abbiamo ricordato sopra.

MARA: Credo che, così come in passato ci siano state copie, plagi o falsi di opere d’arte, ciò non abbia creato crisi gravi nel settore, se non confusione nella gestione, nella vendita e nella definizione dell’originalità. Oggi, più che mai, è fondamentale saper utilizzare i nuovi media e gli strumenti tecnologici in modo significativo.

Personalmente, in riferimento all’arte, apprezzo i lavori e le ricerche che offrono diversi livelli di lettura e approfondimento: in questi casi, la mano dell’artista fatica a scomparire, perché il valore risiede nel concetto e nel processo più che nel risultato finale. È un po’ come avviene nel ready-made: un esempio chiaro per comprendere il ruolo del contesto e dell’intenzione nell’opera.

La mano dell’artista si rinnova costantemente attraverso nuove sperimentazioni e tecnologie. In questo senso, non vedo l’intelligenza artificiale come una minaccia, ma come un archivio vivo e attraversabile, un bacino di possibilità da cui trarre variazioni e generare infiniti multipli. Un processo affine, per certi versi, alla tecnica del cut-up di William Burroughs (1914-1997), dove l’atto creativo nasce dallo smontare e riassemblare frammenti esistenti, aprendo spazi inediti di senso. Così, anche l’IA può essere uno strumento per rivelare nuove connessioni, slittamenti semantici, intuizioni improvvise, dove l’artista, ancora una volta, esercita una scelta, un taglio, un’intenzione.

Inoltre, l’IA può essere un archivio dinamico, in quanto l’opera non è più un prodotto finito ma un processo aperto, una deriva, un tentativo; dunque l’artista, lungi dal dissolversi, si fa regista di qualcosa che resta incerto, un mare di combinazioni. Come dicevo, vivo l’esperienza trasformativa della generazione delle immagini in modo molto simile al cut-up: come un montaggio infinito, una riscrittura continua del “reale”. Sento una forte affinità tra questo metodo e quello che accade quando lavoro con l’intelligenza artificiale: è come se i due processi si rispecchiassero, si parlassero attraverso il tempo. È un processo trasformativo dove l’inconscio e l’errore diventano dispositivi di accesso a livelli profondi della memoria e del significato. In questo spazio di generazione infinita, l’immagine si comporta come un testo da sabotare, da disturbare, da aprire.

L’archivio, nutrito dall’intelligenza artificiale, diventa pertanto una materia porosa, attraversabile, da cui emergono frammenti visivi che somigliano a sogni, a déjà-vu, a memorie posticce. L’IA, come il cut-up, agisce infatti per discontinuità: taglia, rimescola, moltiplica. Non si limita a rappresentare, ma produce uno slittamento, un’alterazione percettiva che rivela quanto fragile, e al tempo stesso fertile, sia la struttura della memoria stessa.

Autori

  • Il lavoro di Mara Palena è intimo e riflessivo. La sua ricerca si concentra su temi come la memoria, il ricordo e l'identità. Lavora con fotografia, video e suono, rielaborando materiali d'archivio, solitamente sotto forma di database consultabili e archivi familiari come filmati amatoriali, e attingendo a un archivio personale di immagini fotografiche che cura da anni per documentare la sua vita. Appassionata alla cultura giovanile, fanzine, musica, cinema e alla danza contemporanea, il suo linguaggio visivo unico prospera laddove le immagini sono concepite come opere d'arte o layout completi. Combinando testo e materiale in serie, Mara crea una nuova rappresentazione visiva di idee e messaggi con specifici obiettivi concettuali. Dopo aver studiato e lavorato per diversi anni a Londra troverai Mara in un'ex fabbrica di fiori a Milano, a volte con il suo cane, spesso con i suoi pensieri.

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  • Matteo Donolato

    Laureando in Scienze Filosofiche all’Università degli Studi di Milano, appassionato di gender studies, studioso di sociolinguistica e fan di Corto Maltese. Genera immagini con l'I.A., insegna, viaggia, fa surf - quello vero - sulle onde oceaniche. Lì trova le ragioni più profonde.

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