Tassonomia di guerra - Quasi

1. QUASI- IN MATEMATICA

Quasi, per i matematici è un termine estremamente preciso, che si applica, perlopiù, agli spazi in cui una proprietà matematica è valida.

Per fare un esempio, una funzione è quasi-continua o continua quasi-ovunque, se essa è continua (non ha interruzioni) in tutto il suo spazio di applicazione tranne che in una parte di quello spazio che abbia misura nulla, o su un insieme finito di punti la cui misura sia nulla.

Proviamo a rendere questo concetto più semplice: se una proprietà vale quasi ovunque, questo significa che i luoghi in cui non vale non hanno rilevanza; per un matematico, se una persona di 65 anni è quasi anziana, significa che è da considerarsi anziana sempre e ovunque, tranne per quei pochi luoghi del globo in cui si vive mediamente per 150 anni. Oppure – per metterla in termini relativistici – in un riferimento, una nave spaziale per esempio. che si muove a velocità vicina a quella della luce.

Bisogna ammettere che i matematici si capiscono bene e difficilmente possono trovarsi in disaccordo nell’interpretazione di validità quasi ovunque di una proprietà.

Come abbiamo più di una volta suggerito (qui, e qui), l’accordo sul significato di un termine è fondamentale per comprendere di che si parla e di quale sia il contesto in cui ci si appresta a prendere posizione e ad agire.

2. QUASI, NEL LINGUAGGIO COMUNE

Quasi, nel parlare di tutti i giorni è termine molto meno definito che in matematica: può significare «Circa, pressappoco, poco meno che» (Treccani), imprimendo una accezione di compiutezza non ancora avvenuta ma molto vicina ad esserlo; può – invece - essere usato in maniera paradossale: “Giovanni non è stato quasi bocciato” che sottintende che Giovanni avrebbe dovuto essere bocciato ma invece ha passato l’esame, per un caso; ovvero in modo perlocutorio: “siamo quasi arrivati”, detto da un amico all’altro sul treno, stimola quest’ultimo – magari assorto in una lettura - ad alzarsi e a preparare le proprie cose per scendere ed evitare di trovarsi in un altro paese. È la componente chiave di un atto linguistico che mira ad avere un effetto sull’ascoltatore. Può anche essere usato al negativo: “non ho quasi mangiato”, che significa che ho mangiato poco più che nulla, molto meno di quanto avrei desiderato.

3. QUASI, DA PIÙ DI DIECI ANNI

Il leader del governo dello Stato di Israele sostiene da più di 10 anni che gli scienziati militari iraniani siano quasi arrivati a produrre bombe atomiche, il cui ovvio destino – secondo Netanyahu – è di cadere sullo Stato di Israele.

Giovanni De Mauro, sulle pagine di Internazionale, ci ricorda che Netanyahu lo dice nel 1992, «Entro tre o cinque anni possiamo presumere che l’Iran diventerà autonomo nella sua capacità di produrre una bomba nucleare », lo ripete due volte nel 1995, « l’Iran impiegherà dai tre ai cinque anni per avere quello che serve a produrre armi nucleari» e nel 2006 azzarda una previsione numerica:« l’Iran si sta preparando a produrre venticinque bombe atomiche all’anno»; nel 2009 dichiara che gli iraniani quasi ci sono, hanno «la capacità di fabbricare una bomba» oppure potrebbero «aspettare e fabbricarne più d’una nel giro di un anno o due»; nel 2012 il tempo necessario a fare la bomba sono pochi mesi, forse settimane; nel 2018 parla di «molto rapidamente»; il 13 giugno 2025, annunciando l’attacco agli impianti iraniani il tempo necessario per la produzione di un’arma nucleare è «pochissimo».

Il leader israeliano usa una nozione molto ampia e proteiforme del quasi temporale: da 2-5 anni a settimane a pochissimo tempo; e il suo uso è sia locutorio – constata e condivide l’informazione, con il sottinteso del pericolo imminente – che perlocutorio, è un invito a non lasciar passare altro tempo prima di prendere provvedimenti contro la possibilità che il nemico giurato produca il temibile ordigno.

La perlocuzione, nel 1992 non è neanche tanto sottile: «Questa minaccia deve essere sventata da un fronte internazionale guidato dagli Stati Uniti».

4. QUASI, AL 60%

12 giugno 2025. Il Board della Aiea, Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica – fondata per favorire l’uso pacifico dell’Energia Atomica, a supporto di salute e di prosperità in tutto il mondo, e per vigilare che i materiali e le tecniche nucleari non siano usate per scopi militari (oltre quanto non sia già stato fatto, tana liberi tutti) – dichiara che l’Iran è sul punto di rompere i trattati di non proliferazione poiché ci sono prove che la nazione medio-orientale abbia arricchito una parte delle sue riserve di uranio al 60%, quasi al livello del 90%, utile per produrre una arma atomica, una bomba all’uranio fissile.

L’affermazione della Aiea sembra essere fondata su prove concrete e la dimensione della violazione dei trattati sulla non-proliferazione sembra essere palese, anche alla luce della quantità di uranio, alcune centinaia di chilogrammi - arricchito al 60% - quasi al 90% - che l’Aiea sostiene sia pronto nei siti nucleari iraniani, sufficiente per preparare 4-5 bombe.

Il quasi della Aiea è il catalizzatore della reazione: nel giro di poche ore Israele bombarda tutti i siti di produzione nucleare per tentare di neutralizzare la quasi-minaccia atomica nemica e pochissimi giorni dopo, il 21 giugno, il coinvolgimento americano auspicato da Netanyahu diventa realtà. I bombardieri B2 sorvolano i cieli iraniani e lanciano bombe bunker buster – capaci di colpire in profondità - sugli stessi siti già colpiti dagli israeliani.

L’atto locutorio, informativo, della AIEA, con quel quasi che sembra essere avvolto dall’aura scientifica e dalla neutralità dello scopo di vigilanza dell’Agenzia, si rivela un atto fortemente perlocutorio, i cui effetti sono gli attacchi israeliani e americani.

La forza scatenante del quasi della Aiea risiede anche nel non detto, nella dimensione implicita della locuzione informativa e scientifica: il 60% per un matematico non è quasi il 90%, le due percentuali sono separate da un significativo 30%, eppure è stato detto come se fosse un quasi di linguaggio comune, tacendo il fatto che – seppure in alcune settimane o mesi quell’uranio avrebbe, forse, potuto essere arricchito al 90% - non è noto se l’Iran possieda o meno le tecnologie per farne davvero un’arma atomica

Un quasi, quindi, perlocutorio al punto da scatenare una guerra.

5. QUASI, I RISULTATI DELL’ATTACCO

Cosa ne è stato, dei siti nucleari iraniani, dopo gli attacchi americani, dopo il Midnight Hammer?

Secondo il Presidente USA, D. Trump, l’attacco ha obliterato la produzione nucleare iraniana; secondo il Segretario alla Difesa Pete Hegseth, i bombardamenti hanno «devastato» il programma nucleare iraniano; secondo la stessa AIEA potrebbero non esserci stati danni rilevanti agli impianti e, con molta probabilità, l’uranio arricchito era stato spostato altrove prima dell’arrivo delle bombe americane.

Si può dire che l’operazione isreaeliano-americana mirata a fermare la quasi-produzione di bombe atomiche da parte dell’Iran, sia stata quasi un successo.

 


Tassonomia di guerra - Diritto di Autodifesa

1. PREMESSA

Molti termini e concetti di uso quotidiano – in particolare quando si parla di guerre e conflitti - come ha già scritto Giampietro Gobo (qui e qui) «hanno in comune lo stesso problema: prima di rispondere (aprir bocca) bisognerebbe definire con chiarezza che cosa si intende». Il diritto di autodifesa è certamente uno di questi.

L’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite rappresenta una delle disposizioni più dibattute del diritto internazionale contemporaneo. Esso riconosce il diritto naturale degli Stati all’autodifesa in caso di attacco armato, configurandosi come eccezione al divieto generale dell’uso della forza sancito dall’art. 2(4). La tensione tra sicurezza nazionale e legalità internazionale ha alimentato un dibattito giuridico e politico che si è intensificato alla luce di recenti crisi, come quelle in Ucraina e nella Striscia di Gaza.

2. STRUTTURA E FUNZIONE DELL’ARTICOLO 51

Il testo dell’articolo 51 recita: «Nessuna disposizione della presente Carta pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva nel caso in cui abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fino a che il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionali

Questa clausola assume la funzione di deroga condizionata al divieto dell’uso della forza. La sua applicazione è subordinata a tre criteri fondamentali:

  • Attacco armato effettivo come presupposto giuridico;
  • Temporalità dell’autodifesa, limitata all’intervento del Consiglio di Sicurezza;
  • Rispetto dei principi di necessità, proporzionalità e notifica.

Tali condizioni sono state progressivamente consolidate nella giurisprudenza della Corte Internazionale di Giustizia (CIG), in particolare nella sentenza Nicaragua vs. Stati Uniti (1986).

3. LEGITTIMITÀ DELL’AUTODIFESA: CHI DECIDE?

Nel sistema internazionale manca un’autorità centralizzata con competenza vincolante ex ante sull’uso della forza. Le valutazioni di legittimità si articolano su tre livelli:

  • il livello del Consiglio di Sicurezza ONU: è formalmente deputato a qualificare atti di aggressione (art. 39), ma è spesso paralizzato dal veto dei membri permanenti;
  • quello della Corte Internazionale di Giustizia: la CIG ha delineato i confini normativi dell’articolo 51, ribadendo la necessità di un attacco armato, la proporzionalità della risposta e l’obbligo di notifica. Tuttavia, la sua giurisdizione è volontaria;
  • quello delle Soft law e delle valutazioni politiche: si tratta di risoluzioni non vincolanti, dichiarazioni di ONG e organismi regionali contribuiscono alla costruzione di una legittimità percepita, sebbene priva di effetti giuridici diretti.

4. CRITERI INTERPRETATIVI: IMMEDIATEZZA, PROPORZIONALITÀ E PREVENZIONE

Immediatezza: La reazione armata deve seguire l’attacco senza ritardi ingiustificati, per evitare la degenerazione in rappresaglia. Tuttavia, la prassi mostra una crescente flessibilità temporale.

Proporzionalità: La risposta deve essere calibrata rispetto alla minaccia, non necessariamente simmetrica nei mezzi. Il principio è soggetto a interpretazioni divergenti e spesso politicizzate.

Autodifesa Preventiva: La teoria dell’autodifesa anticipata, fondata sul caso *Caroline* (1837), richiede una minaccia “istantanea, travolgente, senza scelta di mezzi e senza tempo per la deliberazione”. Dopo l’11 settembre, gli Stati Uniti hanno ampliato il concetto di “imminenza”, giustificando interventi contro minacce latenti (es. Iraq 2003). La comunità internazionale, tuttavia, non ha accolto unanimemente questa estensione, e la CIG continua a rigettare l’autodifesa contro minacce potenziali.

5. DUE CASI SOTTO AGLI OCCHI DI TUTTI

Ucraina (2022): l’invasione russa è stata giustificata da Mosca come intervento protettivo per la popolazione del Donbass. L’Ucraina ha notificato l’attivazione dell’articolo 51 il giorno stesso. La comunità internazionale ha riconosciuto l’esistenza di un attacco armato, legittimando le forme di autodifesa collettiva. Tuttavia, permangono dubbi sulla proporzionalità delle risposte militari.

Israele e Hamas (2023): l’attacco di Hamas del 7 ottobre ha causato oltre 1.200 vittime civili. Israele ha reagito invocando il diritto all’autodifesa. La risposta militare, estesa e con elevato impatto sulla popolazione civile, ha sollevato interrogativi sulla proporzionalità e sul rispetto del diritto internazionale umanitario. Il caso evidenzia le difficoltà interpretative dell’articolo 51 in contesti di conflitto asimmetrico e urbano.

5. CONCLUSIONI

L’articolo 51 rimane un pilastro del sistema di sicurezza collettiva, ma la sua applicazione è segnata da ambiguità normative e da una forte politicizzazione. In particolare:

  • le valutazioni di legittimità sono condizionate da equilibri geopolitici;
  • i criteri giuridici sono suscettibili di estensioni ad hoc;
  • la teoria dell’autodifesa preventiva rischia di erodere il principio del divieto dell’uso della forza.

Sarebbe auspicabile un dibattito accademico, politico e diplomatico che, pur riconoscendo le esigenze di sicurezza, riaffermi la centralità del diritto positivo e la necessità di un controllo multilaterale sull’uso della forza.


Il dogma della costruzione dal basso

(Avviso ai naviganti, questo è un articolo pre vacanze, diversamente serio

 

Chi segue il calcio sa benissimo cos’è la costruzione dal basso. Provo a spiegare per chi non segue questo sport; la questione infatti è più seria di quel che si potrebbe pensare…

Bene, tutte e tutti coloro che hanno guardato calcio e giocato anche ai livelli più infimi (e divertenti), sanno cosa succedeva fino a pochi anni fa quando la palla arrivava al portiere.

Costui aveva due opzioni per far riiniziare il gioco: passare la palla ad un giocatore della propria squadra posizionato abbastanza vicino e senza giocatori avversari nei dintorni (condizione importante per non crearsi pericoli da soli), oppure tirare un gran calcio in avanti cercando di mandare il pallone il più possibile lontano dalla propria porta e il più possibile vicino alla porta avversaria.

L’obiettivo di questa seconda opzione era chiaro; da lì qualcuno avrebbe respinto la palla e con qualche rimpallo fortunato per gli attaccanti della squadra a cui apparteneva il portiere, poteva nascere un’azione da gol subito, senza dover attraversare tutto il campo da gioco e dover superare tanti giocatori avversari.

Logico? Sì. Semplice? Pure. 

Ma non si fa più. Anzi, non si può più fare. Chi lo fa è esposto al pubblico ludibrio.

Perché? Perché adesso, se non vuoi passare per zotico e ignorante, il gioco deve ripartire con la “costruzione dal basso”.

L’hanno asserito i nuovi scienziati del gioco del calcio, quelli che, appunto, ci hanno spiegato che il calcio non è un gioco ma una scienza, quelli che per far giocare a pallone 11 giovani usano algoritmi, riprese in 3D, droni e teoremi. 

Loro hanno gravemente sentenziato: l’azione deve ripartire dal basso, ovvero il portiere deve passare la palla a un suo difensore, anche se questi è circondato da avversari, e questi, a sua volta, non deve “spazzare” ma deve passare a un compagno, anche se pure lui circondato da avversari. Anzi, ancora meglio, si dimostra maggior coraggio e sprezzo del pericolo! Pertanto, accade spesso di vedere la palla stazionare nell’area di rigore del portiere mentre i difensori (della squadra del portiere) tentano freneticamente a suon di passaggetti di uscire dalla pressione degli avversari.

Chi ha inventato questa immane sciocchezza? Direi lo spagnolo Pep Guardiola, il più famoso e vincente allenatore degli ultimi dieci anni, che però è uomo di grande intelligenza e pure di grande ironia. Peraltro, uomo che ha imparato anche dal più ruspante e meno incline ai sofismi degli allenatori italiani, quel Carletto Mazzone che è stato un grandissimo ed era lontano anni luce dal prototipo dell’allenatore scienziato. Uno, Mazzone, che amava i giocatori di talento, mentre gli scienziati amano solo gli schemi e i dogmi.

Pep la costruzione dal basso se l’è inventata per due motivi: uno certo, ha sempre allenato squadre di fenomeni, giocatori dotati di un controllo di palla eccezionale; quindi, per lui, la costruzione dal basso aveva un senso. Grazie ai fenomeni l’azione risaliva il campo lentamente, a volte terribilmente lentamente, (il famigerato tiki taka) ma sempre ben in mano ai suoi giocatori, finché questi trovavano lo spazio giusto per l’azione da gol. 

Sul secondo motivo non ho alcuna certezza ma un forte sospetto, la costruzione dal basso Pep se l’è inventata anche per prendere in giro i tanti pseudo scienziati di questo gioco, sicuro che l’avrebbero imitato come masse di pecoroni beoti. 

E infatti, l’effetto di questa “rivoluzione” è stato che adesso tutti, in tutti i campionati del mondo, in tutte le categorie, si sono adeguati, pena la messa al bando come reazionari, retrivi, inetti.

Nessun portiere osa più rilanciare lontano. Il risultato è che i difensori si ritrovano a palleggiare a pochi metri dalla propria porta con addosso i giocatori avversari e al primo mezzo errore o rimpallo sfortunato è gol… per gli avversari.

Però, nonostante l’evidenza empirica che per fare con efficacia la costruzione dal basso devi avere tutti giocatori di altissima qualità, il dogma impone che lo facciano tutti. Con risultati opposti all’obiettivo e direi anche un po’ patetici.

Ma, mi chiederete, che c’entra tutto questo col declino della civiltà occidentale?

C’entra, c’entra… . L’occidente è percorsa da anni da correnti di pensiero che non è lecito discutere. È così, punto. E se non sei d’accordo o hai qualche timido dubbio sei bollato come antidemocratico, sei un nemico del Progresso (cosa sia il progresso lo decidono “loro”, ovviamente), infine, sei fascista! E su questo cala la pietra tombale, non hai più alcun diritto di replica.

La storia umana è stata sempre percorsa dallo scontro di idee, valori, ideali, ma a me sembra che negli ultimi anni il livello di intransigenza nel voler imporre la propria visione del mondo da parte di gruppi che si sentono investiti dal “possesso della verità” sia enormemente aumentato, di pari passo con la semplificazione rozza dei ragionamenti. 

Nessun tema della vita politica, sociale ed economica viene valutato per i suoi contenuti, su nessun tema si prova a costruire una riflessione sulle conseguenze di lungo periodo. Si ragiona per assiomi: da una parte il bene assoluto, dall’altra il male assoluto. La complessità non è contemplata, forse la complessità è anche lei un po’ fascista.

Personalmente non mi riconosco tra quelle persone attaccate a un’idea malinconicamente idilliaca del passato; la nostra civiltà, nonostante tutto, garantisce un livello di vita e di giustizia sociale molto superiore a quella del novecento ante guerra e ancora più indietro.

È certo, però, che i dogmi imperanti in tutti campi del pensiero umano, calcio compreso, non fanno ben sperare per il futuro.

Stiamo a vedere se qualche allenatore, non solo di calcio, avrà il coraggio di dire al proprio portiere: “fregatene dei dogmi, fai quello che serve di più per la squadra”.