Sorpresa! I lupi mangiano altri animali. Chi l’avrebbe mai detto?

Nelle ultime settimane, i media parlano molto della presenza di lupi in zone di campagna e di montagna e – a volte – in zone periferiche di alcune città circondate da colline e da montagne.

Il pretesto, il catalizzatore dell’attenzione mediatica, è sempre lo stesso: l’avvistamento. Ora di una coppia che guada un ruscello in montagna, ora di un’altra coppia in cerca di cibo nel Bresciano, ora di un esemplare solitario che si avvicina alle zone abitate.

Con regolarità, gli articoli – soprattutto nei media locali del nord Italia – proseguono con le testimonianze di agricoltori e allevatori che hanno subito predazioni a danno delle loro greggi o mandrie, spesso lasciate incustodite nelle malghe.

Per fare tre esempi, solo tra quelli del mese di agosto (e molti altri se ne contano a settembre):

  • Brescia Oggi, 11/8/2025, titola: “Brescia, i lupi sono arrivati in città: «Maschio e femmina nel mio giardino»” e parla dell’avvistamento di una coppia di lupi in un giardino a 400 m.s.l.m., a ridosso del bosco e della collina; l’articolo conclude citando Coldiretti Brescia che auspica una gestione più flessibile, ossia la possibilità di uccidere i lupi, attualmente specie protetta.
  • La Stampa, 16/8/2025: “Pralungo, un lupo in strada a Ferragosto”, che racconta di un lupo filmato alle prime luci dell’alba nelle strade di un paese. Il paese è a oltre 500 m.s.l.m. e, anch’esso, sulle pendici delle montagne e ai margini del bosco. L’articolo è equilibrato ma la conclusione – che cita il primo abbattimento di un lupo in Alto Adige – è chiara, «Un abbattimento che ha scatenato le proteste degli animalisti e dato qualche speranza ai tanti allevatori flagellati dalle continue predazioni del lupo, soprattutto nei pascoli all’aperto in montagna»
  • Trento Today lancia un allarme accorato: “Non ce la facciamo più, con orsi e lupi abbiamo il terrore di uscire di casa” lamenta la difficoltà degli allevatori «che stanno valutando la possibilità di chiudere l’attività perché ormai la situazione è diventata ingestibile» e il terrore della gente «che ha paura di uscire di casa perché potrebbe incontrare il lupo». Si tratta di Ospedaletto, in Valsugana, 300 m.s.l.m., chiusa tra due catene di montagne del Brenta.

La conclusione degli articoli, che segue altrettanto sistematicamente, si caratterizza per il sostegno a misure di controllo dei fenomeni predatori, e senza mezzi termini attraverso il “prelievo” – l’uccisione – degli esemplari problematici e di una “quota” percentuale, variabile da caso a caso, di lupi presenti nella zona, con l’obiettivo di ridurre i casi di predazione ai danni degli animali da allevamento e i presunti danni al turismo.

Il punto critico è che – se una parte degli avvistamenti avviene nell’ambito di zone abitate – la maggior parte dei casi di predazione avviene in quota, nei pascoli e nelle malghe, ai danni di bestiame totalmente o parzialmente incustodito oppure all’interno di ovili senza protezione o con protezioni inadeguate (fili elettrificati e recinti, come spiega chiaramente Mauro Fattor, qui, commentando l’abbattimento “legale”[1] di un lupo in Alto Adige)[2].

Ora, la logica affermata dagli operatori agricoli e turistici che auspicano interventi di “contenimento” dei lupi[3], è palesemente di stampo colonialista, e afferma una presunta priorità di presenza dell’umano – e delle sue attività – in aree montane e collinari che sono tipicamente luoghi di vita di altri animali – normalmente e “naturalmente” predatori.

Questa logica – come il colonialismo europeo dell’800 e del ‘900 e come quello attuale in Medio Oriente e nei Balcani – sposta a proprio piacimento, secondo convenienza economica, il confine immaginario e inesistente tra le aree di possesso dell’umano e quelle di pertinenza del naturale[4], degli altri animali.

Chi scrive frequenta zone montane dell’Abruzzo in cui la convivenza con i lupi (e con gli orsi) è caratterizzata dal rispetto delle relative autonomie e prerogative, in cui non c’è e non vuole essere disegnato un confine netto.

In queste zone la predazione fa parte dell’esperienza comune, è patita ma accettata, l’incontro[5] è normale, la violazione delle aree urbanizzate è vista come un rischio da valutare e da gestire con difese e comportamenti adeguati – non come una minaccia da debellare.

E – anche per dare spazio, in alcune aree, al turismo più intenso – vige una politica di informazione assidua e intensa, di consiglio di comportamenti responsabili, prudenti e attenti, anche rivolti alle scuole, che non favoriscano la confidenza e l’avvicinamento frequente alle zone urbanizzate.

Tra questi consigli si legge, ad esempio, per gli allevatori, non lasciare incustoditi gli animali da allevamento, proteggere stalle, ovili e pollai con porte e reti alte; per i turisti in montagna, mantenersi sui sentieri, fare rumore in modo da avvisare i predatori della propria presenza, non lasciare cibo nei pressi delle soste.

Il modello di relazione abruzzese con i grandi carnivori è – quindi – il segno che un equilibrio tra umani e grandi carnivori è ancora possibile.

 

NOTE:

[1] Il giorno 11 agosto, in Alto Adige, è stato abbattuto, dal Corpo Forestale, un lupo. L’abbattimento va ricondotto ai 31 attacchi a bestiame al pascolo tra maggio e luglio 2025 e ai 42 della stagione 2024. Un lupo, a caso, tra i tanti che popolano l’Alta Val Venosta. Ci torneremo in un prossimo articolo, analizzando la vera e propria controversia che oppone i “colonialisti” e i “difensori”, questi ultimi a loro volta divisi in diverse schiere

[2] Questo senza voler minimizzare la preoccupazione degli agricoltori e allevatori, che subiscono danni e perdite ma che – nella maggior parte delle regioni – vengono risarciti dagli enti regionali.

[3] Prima erano gli orsi, ora i lupi, poi saranno le linci, i grandi predatori carnivori della penisola

[4] Sul concetto e sul presunto valore morale del naturale parleremo in un prossimo numero di Controversie

[5] Le camminate e i percorsi montani di chi scrive sono occasione frequente di incontro con dei lupi, che appena avvistano l’umano “invadente” si ritirano al sicuro. Occasionali incursioni nell’abitato, a ridosso della montagna e dei boschi, sono eventi che stimolano alla maggior prudenza nella gestione degli animali domestici e da cortile.

Autore

  • Gianluca Fuser

    Laureato in Scienze Filosofiche all’Università degli Studi di Milano e manager. Scrive appunti sul rapporto tra scienze, tecnologie e morale anche quando pedala come un pazzo, la domenica mattina. A volte dice di lavorare. È il direttore editoriale di Controversie.

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