WILLIAM MOLYNEUX
Nel 1690 le vicende personali e il contributo teoretico hanno reso John Locke la figura più autorevole del pensiero liberale in Europa; ancora oggi in molti gli riconoscono la paternità di questo orientamento politico ed economico. I viaggi che lo hanno condotto a incontrare i più grandi intellettuali del tempo, intrapresi attraverso il continente sia per mettersi al riparo dalle persecuzioni politiche in patria, sia per dare seguito ai suoi incarichi di precettore, obbediscono ad una strategia non molto diversa da quella adottata dai moderni influencer – ma con esiti molto più interessanti sia per gli interlocutori, sia per i temi trattati.
Nel 1692 la scelta di John Locke come destinatario della lettera che avrebbe inaugurato il dibattito più importante per l’epistemologia dell’epoca illuministica [1] appare quindi piuttosto naturale. William Molyneux è membro della Royal Society ed è stato deputato del parlamento irlandese, e quando rivolge a Locke la domanda che renderà famoso il suo nome non immagina ancora quanta eco avrebbe ottenuto la questione, attraverso la sua pubblicazione nella seconda edizione del Saggio sull’intelletto umano del 1694: «immaginiamo un uomo nato cieco, ora adulto, al quale si è insegnato per mezzo del suo tatto a distinguere fra un cubo e una sfera dello stesso metallo e pressappoco della stessa grandezza, in modo che sia in grado, sentendo l’uno e l’altro, di dire qual è il cubo e qual è la sfera. Supponiamo ora di mettere il cubo e la sfera su un tavolo, e che al cieco sia data la vista: si domanda se, mediante la vista e prima di toccarli, egli saprebbe ora distinguerli e dire qual è il cubo e qual è la sfera»[2].
La soluzione che viene proposta da Locke, in obbedienza alla sua impostazione empiristica, è negativa: il bambino, nato cieco, ha imparato a connettere le rappresentazioni tattili alle forme degli oggetti, ma al momento di ricevere la vista non avrebbe alcuna esperienza del modo in cui si correlano le sensazioni ottiche con le altre idee sia con la realtà esterna. L’abilità con cui associamo lo spigolosità dei vertici e dei lati alla rigidezza del cubo, e l’andamento curvilineo alla levigatezza della sfera, non è l’effetto di un istinto ma la competenza di una pratica così ben assimilata da essere diventata automatica. Molyneux concorda con questa conclusione.
LA DISPUTA
È difficile trovare il nome di un pensatore nel corso del Settecento che si sia sottratto alla discussione sulla questione, che fino al 1728 è rimasta un «esperimento mentale». Leibniz ha sostenuto la tesi che l’inferenza sarebbe stata possibile, dal momento che le idee provenienti dal sistema tattile e da quello ottico hanno in comune la proprietà dell’estensione [3]. Altri filosofi, come Reid, Hutcheson, Campbell, hanno insistito sull’indipendenza del riconoscimento della forma dalla fonte sensoriale attraverso la quale un individuo può acquistarne la rappresentazione. Il geometra può disegnare la figura sulla base della sua definizione, anche se cieco.
Gli autori con vocazione empiristica si sono schierati dalla parte di Locke, approfondendo la descrizione psicologica dell’accesso alla visione da parte di un uomo nato cieco. Berkeley ha insistito sull’analisi delle percezioni ottiche, dimostrando che non esiste alcuna proprietà nell’immagine sulla retina in grado di informare sulla sua posizione e sulla sua distanza prospettica: la tridimensionalità e il riconoscimento delle sue strutture sono il risultato di un apprendimento sperimentale, che non può essere ridotto o dedotto da sensi diversi, come quello del tatto [4]. Condillac sviluppa in un primo momento considerazioni simili a quelle di Leibniz, e in una seconda fase opinioni prossime a quelle di Berkeley (pur senza condividerne la metafisica), sviluppando una delle allegorie filosofiche più famose dell’Illuminismo, quella della statua cui vengono progressivamente schiusi nuovi organi sensoriali [5].
LA VERIFICA EMPIRICA
Voltaire non è solo uno dei sostenitori più famosi della tesi di Locke; è anche il divulgatore della prima esperienza empirica in grado di controllare gli effetti della vista in un uomo nato cieco, in condizioni reali somiglianti all’esperimento mentale di Molyneux. Nel sesto capitolo degli Elementi della filosofia di Newton il pubblico laico viene informato degli esiti della prima operazione chirurgica alla cataratta: nel 1728 il medico britannico William Cheselden esegue un intervento grazie al quale un ragazzo di quattordici anni torna a beneficiare del normale funzionamento degli occhi.
Voltaire ha incarnato il ruolo di influencer con maggior efficienza – e di sicuro con maggiore consapevolezza e intenzionalità – rispetto a Locke. La notizia, diffusa da uno dei suoi libri di più grande successo, ha raggiunto un’audience europea; ma una descrizione dell’operazione è stata redatta di prima mano da Cheselden stesso pochi mesi dopo l’evento [6], in termini che riprendono il linguaggio e i temi della disputa filosofica, e che premiano la versione di Berkeley. L’adolescente «miracolato» dall’abilità del chirurgo e dalle nuove tecniche mediche non solo non riesce a distinguere il cubo dalla sfera, ma la sua percezione si esaurisce in macchie colorate in movimento; gli è impossibile stabilire se esse siano una pellicola applicata sui suoi occhi, o se provengano in qualche modo da oggetti collocati a distanza dal suo corpo. Occorrono settimane di esercizio e di apprendimento per regolarizzare i contorni delle figure, e per mettere in prospettiva gli elementi della visione, arrivando a stabilire le distanze e le dimensioni reali.
Il controllo fattuale stabilisce che la visione non è un’operazione meccanica eseguita dalla fisiologia ottica, ma un processo che esige una fase di formazione per passare dallo stimolo luminoso al riconoscimento degli oggetti e delle loro interazioni. L’occhio è empirista e Locke è il suo profeta.
LA DISPUTA, DI NUOVO
La descrizione degli esiti dell’intervento appaiono troppo vicini alla teoria di Berkeley per non indurre il sospetto che Cheselden sia stato influenzato dal Saggio per una nuova teoria della visione nella descrizione del comportamento del ragazzo.
Adam Smith [7], seguito in anni più recenti da Shaun Gallagher [8], ritiene che la struttura fisiologica di un individuo adulto, che non ha potuto sviluppare il senso della vista fino al momento dell’intervento chirurgico, non può essere paragonata a quella del neonato sano. È possibile quindi che l’esito descritto da Cheselden (e dalle successive operazioni di cataratta) non possa essere adottato come valido per rispondere allo spirito di fondo del quesito Molyneux. Anche Julien de la Mettrie contesta l’affidabilità delle condizioni fisiologiche del ragazzo operato da Cheselden, che potrebbe aver subito un collasso delle capacità nervose proprio in conseguenza di quello oggi definiamo lo stress post-operatorio. Diderot nel Saggio sui ciechi generalizza queste osservazioni critiche in una massima di saggezza indubitabile: ci dovremmo aspettare risposte diverse da un ex cieco stupido e da uno preparato in geometria. Una verità che vanta un’estensione molto superiore alla sola questione Molyneux.
I dubbi sull’affidabilità del testimone, e sull’accettabilità del setting sperimentale, riaccendono quindi il dibattito con una ridefinizione dei caratteri che si devono intendere come essenziali per il focus dell’argomento: la visione è il risultato di un apprendimento o esiste una configurazione dei percetti che si costruisce in modo immediato nella fisiologia della sensibilità? O ancora: è possibile dare una risposta sperimentale alle domande sugli schemi generali della conoscenza?
NOTE:
[1] Questo è il modo in cui Ernst Cassirer ne discute in La filosofia dell’Illuminismo, trad. it. di Ervino Pocar, La Nuova Italia, Firenze 1973, pp. 157-173.
[2] John Locke, Saggio sull’intelletto umano, tr. it. a cura di Marian e Nicola Abbagnano, Utet, Torino 1971, Libro II, cap. IX, §8.
[3] Gottfried Wilhelm Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano, tr. it a cura di Salvatore Cariati, Bompiani, Milano 2011, Libro II, Cap. 9, §8.
[4] George Berkeley, Saggio per una nuova teoria della visione, tr. it. a cura di Silvia Parigi, in Opere filosofiche, Mondadori, Milano 2009.
[5]Étienne Bonnot de Condillac, Saggio sull’origine delle conoscenze; Trattato sulle sensazioni, in Opere, tr. it. a cura di Giorgia Viano, Utet, Torino 2013.
[6]William Cheselden, VII. An account of some observations made by a young gentleman, who was born blind, or lost his sight so early, that he had no remembrance of ever having seen, and was couch’d between 13 and 14 Years of age, «Philosophical Transactions», 30 giugno 1728.
[7]Adam Smith, Of the External Senses, Grapevine, Londra 2023.
[8]Shaun Gallagher, Molyneux and motor plasticity, «Philosophy and the Mind Sciences», n.5, 2024.
Autore
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Si occupa di media digitali dal 1999: è co-fondatore di Pquod e VentunoLab, società specializzate nella comunicazione web e nell’analisi di dati. Ha svolto attività di docenza per il Politecnico di Milano e l’Università degli Studi di Milano. Dal 2011 pubblica sulle testate Linkiesta, pagina99, Gli Stati Generali. È il direttore responsabile di Controversie. Per le pubblicazioni: https://scholar.google.com/citations?hl=it&user=zSiJu3IAAAAJ
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