Classificazioni e standardizzazioni - Come cambiano la medicina contemporanea

Nell’articolo precedente abbiamo visto come la creazione di nuovi standard e classificazioni richieda complesse negoziazioni tra molteplici attanti. Questo processo di standardizzazione caratterizza diversi mondi sociali come ad esempio la medicina contemporanea.

Infatti, secondo Timmermans e Berg all’interno della medicina gli standard raggiungono una universalità locale (1997). I due autori osservano come la costruzione dei protocolli medici e la loro applicazione non sia universale e valida per tutti i contesti, ma il protocollo si adatta alle singole comunità di pratica attraverso una serie di adattamenti e accordi. Dunque, uno standard viene costruito localmente ma non per questo perde la capacità di mettere in relazione i diversi elementi delle infrastrutture. 

Inoltre, Timmermans e Berg (2003) analizzano l'effetto degli standard nella pratica medica, mostrando come questa venga modificata da essi. Secondo i due autori gli standard non sono neutrali. Ad esempio, l’adozione di linee guida nella pratica clinica o di nuove nomenclature, generano nuove forme di vita che modificano la pratica medica e degli attori:

«Gli standard sono intrinsecamente politici perché la loro costruzione e applicazione trasformano le pratiche in cui si inseriscono. Cambiano le posizioni degli attori: alterando i rapporti di responsabilità, enfatizzando o deenfatizzando le gerarchie preesistenti, cambiando le aspettative dei pazienti» (2203, p. 22)

In particolare, i due autori si focalizzano su come la medicina basata sull’evidenza cambi la pratica medica sia a livello micro che macro. La medicina basata sull’evidenza è caratterizzata da uno stretto legame tra clinica e ricerca scientifica, con lo scopo di generare cure più efficienti, migliorare i processi sanitari, coordinare in modo più efficace le attività di ricerca e un’istruzione migliore per medici e assistenti. 

Verso la fine degli anni Ottanta si fece strada un impulso alla standardizzazione nel campo sanitario, inizialmente come un libero scambio di informazioni, standardizzazione di competenze, strumenti e strutture, e più recentemente con la prescrizione del contenuto del lavoro medico, attraverso la creazione di linee guida. La medicina basata sull'evidenza interviene nel processo decisionale medico: nonostante i pazienti non presentano mai situazioni identiche, una delle abilità dei medici è quella di tradurre una serie di osservazioni molto specifiche o di frasi di linguaggio comune in linguaggio specialistico. Un tempo il medico, attraverso l’utilizzo della propria conoscenza tacita, era in grado di applicare autonomamente le conoscenze scientifiche; ma ora la medicina basata sull’evidenza tenta di elaborare e uniformare i risultati della ricerca scientifica, delineandone l’applicazione, codificando sequenze di attività e azioni uniformi per rispondere a una determinata situazione. L’introduzione di uno standard ha però degli effetti anche a livello macro; infatti, affinché i dati medici diventino comparabili, è necessario uniformare le terminologie, creare nuove nomenclature in modo che i sistemi informativi di diversi contesti organizzativi riescano a comunicare facilmente.

Bowker e Star (2003) nel libro Sorting Things Out, cercano di capire come gli attori progettano e utilizzano i sistemi di classificazione, mettendo in luce come ogni meccanismo di classificazione sia caratterizzato dal contesto sociale, politico, filosofico e sociotecnico, ma anche da aspetti cognitivi, burocratici e formali. Gli autori prendono come caso di studio la Classificazione internazionale delle malattie (ICD), ovvero uno strumento statistico-epidemiologico, analizzandone le genesi, le trasformazioni e gli usi che ne vengono fatti. Attraverso un approccio pragmatico agli standard, essi riprendono e ri-adattano il teorema di Thomas (1928): le cose percepite come reali lo sono nelle loro conseguenze. Pertanto, anche se gli attori considerano le classificazioni puramente mentali o formali, cercheranno di adattare il loro comportamento a quelle concezioni. Anche se ogni classificazione è sotto-determinata dalla realtà (Bloor 1976; Barnes, Bloor, e Henry 1996), scrivono i due autori:

«Sebbene sia vero che le mappe non catturano completamente i terreni, sono tecnologie potenti. Aiutano a trovare la propria strada, come originariamente previsto formalmente. E servono come risorse per strutturare tutti i tipi di azioni collettive: sogni di vacanze, soluzioni di cruciverba, spiegazioni della distanza sociale.» (Bowker e Star 1999, p. 54) 

Il primo volume dell’ICD era principalmente un lungo elenco di numeri con nomi di malattie o cause di morte. Verso la fine degli anni Quaranta diventa uno strumento per codificare e classificare le malattie che rappresentano una minaccia per la salute pubblica. Tutto ciò ha una dimensione performativa e delle implicazioni pratiche: l’obiettivo è quello di creare uno schema di classificazione generale all’interno di più discipline (medicina, epidemiologia e statistica) in rapida evoluzione. Nel momento in cui vengono decise delle categorie, queste influiscono sugli sviluppi futuri della disciplina; ad esempio, le informazioni che verranno raccolte si focalizzeranno su particolari malattie escludendo quelle rare o non contagiose. 

Uno dei principali usi dell'ICD è la registrazione delle cause di morte da parte di medici legali, ospedali e medici. In uno dei testi dell’ICD si elencano diverse tipologie di “insufficienza cardiaca”: congestizia, ventricolare sinistra e una generica insufficienza cardiaca non specificata. Queste tre categorie acquisiscono rilevanza e diventano degli standard di riferimento. Ciò implica che la successiva raccolta di informazioni verrà fatta alla luce di quelle categorie. 

Ad esempio, le insufficienze cardiache causate da guasti meccanici o rotture di protesi o di pacemaker che prima rientravano nella categoria “insufficienza cardiaca”, andranno ri-classificate e ri-significate all’interno delle nuove categorie esistenti. Dunque, il processo di classificazione non ha a che fare solamente con categorie astratte, ma si tratta di un processo pratico inerente al modo in cui le persone classificano gli oggetti che incontrano nella vita quotidiana:

«Quando guardiamo ai modi in cui cultura e pratica si intrecciano nel testo dell’ICD, non stiamo smascherando un falso pretendente alla corona della scienza; stiamo attirando l'attenzione su una caratteristica esplicita, positiva e pratica della progettazione dell'ICD: “L'ICD si è sviluppato come una classificazione pratica, piuttosto che puramente teorica”» (cit. p. 71)

L’intento dell’ICD non è quello di catturare l’intera pluralità di situazioni o di essere una rete in grado di rappresentare tutta la conoscenza, ma piuttosto uno strumento epidemiologico utilizzabile all'interno di un contesto di pratica organizzativa. Inoltre, l’ICD si è evoluto nel tempo in base ai cambiamenti della medicina e delle tecnologie mediche; ad esempio, negli anni Quaranta, l’introduzione di nuove tecnologie diagnostiche provocò una nuova categorizzazione della tubercolosi. L’IDC non rappresenta uno strumento epidemiologico elastico, infatti viene modificato anche in base allo sviluppo di nuove o vecchie malattie, alcune si trasformano come il GRID (Gay-Related Immune Deficiency) si trasformò in AIDS, altre perdono di importanza come l’isteria, altre invece scompaiono come il vaiolo negli anni Ottanta. In altre parole, i cambiamenti che avvengono nel mondo si riflettono, modificando, lo schema di classificazione. 

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In conclusione, all’interno della medicina contemporanea gli standard sono usati ma anche modificati e prodotti. Bisogna uscire da una visione dello standard come “imposto dall’alto” che, una volta adottato, è in grado di modificare qualsiasi pratica. L’invito è quello di guardare lo standard come qualcosa prodotto nella pratica da un insieme eterogeneo di attanti, in grado di regolare le pratiche; ma allo stesso tempo le pratiche possono generare degli standard modificando quelli già esistenti o producendone di nuovi. Si tratta di un processo di co-produzione tra standard e pratiche. 

 

Bibliografia

Bowker, G. C., e Star S. L. Sorting Things out: Classification and Its Consequences, 1999, Cambridge, Mass.: MIT Press Cambridge, Mass.

Thomas, W.I, and Swaine Thomas D., The Child in America: Behavior Problems and Programs, 1928. Knopf.

Timmermans S. e Berg M., «Standardization in Action: Achieving Local Universality through Medical Protocols». in Social Studies of Science, 1997, 27(2):273–305. doi: 10.1177/030631297027002003.

Timmermans S. e Berg M., The Gold Standard, 2003. Temple University Press.


Classificazioni e standardizzazioni - Un modo di regolare la vita sociale

Ogni giorno gli esseri umani mettono in pratica, spesso inconsapevolmente, forme di classificazione e standardizzazione per raccogliere informazioni, trasmetterle e farle interagire tra di loro. Si tratta di un lavoro che è prevalentemente tacito o inconsapevole. Ad esempio in una libreria o biblioteca i libri vengono sistemati in base al tema di cui trattano; per cui i temi più comuni saranno facilmente visibili, mentre altri verranno collocati in spazi specifici o meno visibili. Oppure basti pensare alle email che ci arrivano: alcune le contrassegniamo come Speciali, altre come Spam e altre le eliminiamo immediatamente; o alla classificazione dei servizi igienici in base al genere.

Le categorizzazioni non sono solo dei concetti astratti che contribuiscono a mantenere un ordine sociale, ma sono delle entità invisibili che influenzano la nostra vita. Secondo Michel Foucault (L’ordine del discorso e altri interventi, 1971) le categorie e le tecnologie producono una forza materiale sulla vita degli individui; essa è in grado di produrre oggetti di sapere, soggetti, istituzioni, pratiche, chi può parlare per dire un enunciato vero e come deve parlare per dire la verità. Dunque, classificare produce degli effetti, valorizza certi elementi e ne rende invisibili altri; per alcuni individui possono rappresentare un vantaggio mentre per altri rappresentano un danno.

Ma cos’è una classificazione?

“Una classificazione è una segmentazione spaziale, temporale o spazio-temporale del mondo. Un “sistema di classificazione” è un insieme di scatole (metaforiche o letterali) in cui si possono mettere le cose per poi svolgere una sorta di lavoro burocratico o di produzione di conoscenza” (Bowker, G. C., e Star S. L.. Sorting Things out: Classification and Its Consequences 1999, p. 10).

In ogni attività quotidiana abbiamo a che fare con la progettazione e la selezione di categorie, con l’inserimento di nuove informazioni all’interno di esse e confrontarci con cose che non si adattano. Tutte le nostre azioni fanno riferimento a un sistema di classificazione che in astratto, possiede le seguenti proprietà:

  • Principi classificatori coerenti e unici in funzione: si possono ordinare una serie di elementi in modi differenti, come ad esempio un ordine temporale, un ordine in base alla funzione oppure in base all’origine;
  • Le categorie sono mutuamente esclusive: in astratto le categorie possiedono dei confini chiari, all’interno dei quali ogni sistema di classificazione riesce ad inserire gli oggetti in modo ordinato. Ad esempio, la concezione di un figlio avviene attraverso una madre e un padre che rientrano automaticamente all’interno della categoria dei genitori. Questo modo di categorizzare esclude una serie di altre situazioni come, ad esempio, la presenza di madri surrogate, donne che donano i propri ovuli, uomini che donano il proprio seme, oppure situazioni di affidamento condiviso;
  • Il sistema è esaustivo: il sistema di classificazione fornisce comunque una rappresentazione ideale della realtà che prova a descrivere. In altre parole, anche se ci sono degli oggetti che non si adattano perfettamente alle categorie esistenti, il sistema di classificazione agisce in modo da assorbirli al suo interno creando un ordine.

Nella vita quotidiana, nessun sistema di classificazione funzionante soddisfa contemporaneamente questi tre requisiti. Nella pratica le persone possono deliberatamente ignorare le classificazioni esistenti, fraintenderle rinegoziarle (Cit.).

Uno standard è innanzitutto un modo di classificare il mondo, un insieme di regole concordate da vari attori per produrre artefatti. Gli standard attraversano diverse comunità di pratica (Lave, J., & Wenger, E. Situated Learning: Legitimate Peripheral Participation, 1991), mettendole in comunicazione, creando relazioni stabili nel tempo, superando così differenze locali e parametri eterogenei. La standardizzazione è un processo attivo che aspira alla stabilità e all’ordine. Qualsiasi ordine è un risultato conquistato a fatica che richiede la collaborazione di diversi attori.

Ma cos’è uno standard?

“Definiamo la standardizzazione come il processo volto a rendere le cose uniformi, e la standardizzazione sia come mezzo che come risultato della standardizzazione. Nel senso più generale, una norma si riferisce a una misura stabilita dall'autorità, dalle dogane o dal consenso generale da utilizzare come punto di riferimento” (Timmermans S. e Berg M., The Gold Standard, 2003).

Dunque, gli standard non nascono dal nulla, ma vengono costruiti nella pratica da un insieme eterogeneo di attanti,1 permettendo a diversi mondi sociali di cooperare nonostante i differenti interessi. È proprio questa caratteristica che conferisce agli standard una forza e autori “superiori”; ma non si tratta di una caratteristica innata, “calata dall’alto”, bensì il risultato di conflitti e negoziazioni tra differenti gruppi sociali. Lo standard viene costruito situazionalmente senza però perdere la capacità di mettere in relazione i vari elementi delle infrastrutture. Lampland e Star (Standards and Their Stories: How Quantifying, Classifying, and Formalizing Practices Shape Everyday Life, 2010) identificano 5 caratteristiche degli standard:

  • La nidificazione: gli standard sono compenetrati l’un l’altro, sono incorporati in altri standard, protocolli o sistemi tecnici;
  • Distribuiti in modo non uniforme: il significato e gli effetti di uno standard dipendono dal regime politico e dalla posizione di classe. In alcuni contesti si adattano bene; in altri costituiscono un problema;
  • Fanno riferimento a comunità di pratica: ciò che rappresenta uno standard favorevole per una persona può rappresentare un incubo per un'altra: “le forme standard sono (ineguali) (...) anche nel loro impatto, significato e portata nella vita individuale e organizzativa. Gli standard e le azioni che li circondano non si verificano in modo acontestuale. C’è sempre una sorta di economia ed ecologia degli standard che circonda ogni individuo in una posizione” (Cit. p.7);
  • Sono sempre più integrati tra loro in molte organizzazioni, nazioni e sistemi tecnici: generano relazioni sociotecniche identiche, in grado di dare vita ad assemblaggi eterogenei in contesti differenti;
  • Incarnare e prescrivere etica e valori: standardizzare significa includere certe cose, ed escluderne altre. Gli standard sono carichi di iscrizioni morali che contribuiscono a rendere alcune cose visibili in un modo positivo e altre in modo negativo con grandi conseguenze per gli individui.

 

In conclusione, classificare e standardizzare necessitano complesse negoziazioni necessarie per creare protocolli, materiali e strumenti. La creazione di uno standard è un atto sociale che dipende dalle interazioni tra le molteplici parti (attanti) coinvolte nel processo di creazione. In questo senso degli “standard flessibili”, caratterizzati da grande adattabilità possono funzionare meglio di standard rigidamente definiti, consentendo la comunicazione tra sistemi incompatibili generando tipi specifici di uniformità, oggettività e universalità. L’uniformità degli standard porta con sé tracce delle impostazioni locali, ma allo stesso tempo altri elementi locali vengono cancellati attraverso la standardizzazione. Il processo di standardizzazione permette di stabilire nuovi standard, ma rende invisibile il tutto il lavoro necessario per generarli. Il ruolo dello scienziato sociale è quello di riflettere criticamente l’ubiquità degli standard, anziché darli per scontati. Evidenziando come la scelta di uno standard rispetto a un altro è condizionata da interessi pragmatici differenti, mettendo in luce l’effetto performativo. Perché la scelta di uno standard implica un modo di regolare e coordinare la vita sociale a scapito di modalità alternative. Utilizzando le parole di Timmermans e Epstein “coesistiamo in un mondo pieno di standard ma non in un mondo standard” (Annu. Rev. Sociol. 36:69–89, 2010, p.84).

 

 


NOTE

1 Ad agire possono essere non solo gli umani ma anche non-umani come tecnologie e oggetti materiali.