La dura verità. Dalla sodomia della lettura alla veridizione nell’epoca della riproducibilità tecnica

SODOMIE

In molte iscrizioni del V secolo a.C., distribuite tra la Magna Grecia e l’Attica, il lettore viene etichettato katapúgōn, sodomizzato, e viene additato alla comunità come l’individuo che si è lasciato possedere dall’autore dell’epigrafe. Si comprende perché Platone nel Teeteto raccomandi prudenza e moderazione nel rapporto con i testi scritti, e perché abbia sospettato di questa forma di comunicazione per tutta la vita – sebbene i suoi Dialoghi abbiano contribuito a rendere per noi il libro la fonte di conoscenza più autorevole. Jesper Svenbro, in uno dei suoi saggi più brillanti di antropologia della lettura (1), rileva che l’esercizio di decodificare il testo, e di ricostruire il significato delle frasi, incorra per gran parte dell’antichità nelle difficoltà della scriptio continua, senza stacchi tra le parole e senza interpunzioni: fino al Medioevo, la maggior parte degli interpreti deve compitare ad alta voce le lettere, come fanno i bambini alle prime armi con la decifrazione della scrittura, per ascoltare il senso di ciò che sta pronunciando – più che riconoscerlo in quello che sta vedendo. Il lettore quindi presta la propria voce, il proprio corpo, al desiderio di espressione dello scrittore: il testo esiste nella proclamazione orale del contenuto, mentre il suo formato tipografico resta lettera morta. 

Nella cultura greca, molto agonistica, questa subordinazione di ruoli non può rimanere inosservata. Per di più, la sua forma è congruente con quella che si stabilisce tra il giovane che deve seguire il suo percorso di formazione e l’amante adulto che finanzia i suoi studi, visto che non è il padre né la famiglia naturale a sostenere questi costi: al termine della paideia il ragazzo deve testimoniare in pubblico se l’erasts abbia abusato del suo corpo, degradandolo al rango passivo di uno schiavo. L’adolescente deve conquistare un protettore di età più matura, senza però concedersi rinunciando alle prerogative del cittadino libero.

 

 

Il lettore incauto, o troppo appassionato, abbandona il proprio corpo all’io parlante dello scrittore: un’abdicazione al dominio di sé cui le persone perbene costringono gli schiavi, sottraendosi ad ogni rischio. Per un greco classico la verità è una caratteristica di quello che è stato visto con i propri occhi, come viene comprovato dagli storici Erodoto e Tucidide; Socrate e Platone hanno affidato il loro insegnamento al dialogo dal vivo. L’Accademia, e anche il Liceo di Aristotele, sorgono accanto a palestre dedicate alla preparazione atletica e militare degli ateniesi; Platone è un soprannome che indica le «spalle larghe» del maestro di dialettica.

IL POTERE DI VERIDIZIONE

Il potere di dire la verità, all’atto di nascita della filosofia, si legittimava su requisiti che appaiono del tutto diversi da quelli che lo hanno ratificato negli ultimi secoli, e che come osserva Sergio Gaiti in un recente articolo su Controversie, sono in affanno nel mondo contemporaneo. 

Per i greci la formazione dell’uomo libero coinvolgeva i valori della prestanza fisica, del coraggio, dell’obbedienza alle leggi patrie, della frequentazione di buone compagnie: la verità poteva emergere solo in un contesto che rispettasse questi requisiti – che dal nostro punto di vista sembrano più indicati per un raduno neofascista, che per un seminario di intellettuali, o per la consulenza ad un board aziendale, o per i principi di una disposizione di governo. Eppure l’epoca di Platone e Aristotele è senza dubbio una delle massime espressioni del talento intellettuale dell’Occidente, e il momento assiale per la nascita della tradizione scientifica. Nella nostra epoca, almeno fino all’irruzione dei social media e dei portali di ricerca, nessuno avrebbe mosso obiezioni all’assunto che i garanti della verità sono i metodi di peer review delle riviste scientifiche, la sorveglianza delle commissioni di concorso e di esame per le carriere universitarie, il vaglio della comunità degli intellettuali su qualunque dichiarazione relativa alla natura, alla storia e alla società, il filtro degli editori di stampa, radio, televisione, cinema e musica, su quali temi meritino l’attenzione pubblica e cosa sia invece trascurabile. In altre parole, anche per l’epoca contemporanea esiste (esisteva?) una cerchia di individui, che rappresenta la classe delle buone compagnie da frequentare per accedere all’Acropoli della verità, il luogo in cui si sa di cosa ci si debba occupare e in che modo si debba farlo. Al di là delle dichiarazioni di intenti e dei cardini ideologici, in tutti i paesi avanzati è tendenzialmente sempre la stessa classe sociale ad alimentare le fila degli accademici, dei politici, dei manager, dei giornalisti – è lo stesso cluster economico e culturale a formare controllori e controllati del potere, in tutte le sue forme (2).

Ma più che l’appartenenza ad una élite per censo e discendenza, ciò che conta è l’affiliazione ad una categoria accomunata dalla formazione universitaria, con la condivisione dei valori sullo statuto della verità, sui metodi della sua esplorazione, sui criteri di accesso ai suoi contenuti, sulle procedure della sua archiviazione, riproduzione, comunicazione. Come osserva Bruno Latour (3), l’adesione a queste prescrizioni coincide con l’accesso ad una comunità di pari, fondata sull’addestramento a vedere le stesse cose quando i suoi membri si raccolgono nel laboratorio dello scienziato – qualunque sia la disciplina in causa. Restano fuori tutti coloro che non sono iniziati alla percezione di questo grado del reale.

DIVISIONE DEL LAVORO LINGUISTICO

Nei termini di Foucault (4), ripresi da Agamben (5), questi processi di legittimazione e di produzione del sapere sono dei dispositivi, in grado di porre in essere esperienze che hanno riconoscimento intersoggettivo e consistenza pubblica. Le piattaforme digitali come Google e Facebook, nonché le varie tipologie di social media da cui è colonizzato il nostro mondo, non hanno fatto altro che automatizzare i meccanismi alla base del loro funzionamento, estendendo la base di accesso a tutti. Ma questo gesto di apertura ha innescato una rivoluzione di cui nessuno avrebbe potuto sospettare la portata.

L’algoritmo dal quale si è sviluppato Google, PageRank, misura la rilevanza di un contenuto partendo dal calcolo della quantità di link in ingresso da altre pagine web, e dalla ponderazione della loro autorevolezza, sulla base di un calcolo ricorsivo. L’algoritmo è la traduzione in chiave digitale del principio della bibliometria accademica, con cui il valore di un saggio (anche per la carriera del suo autore) corrisponde al numero di citazioni in altri studi scientifici (6)(7). Ma nel circuito delle università, l’autorevolezza di riviste e collane editoriali è stabilito a priori da altre istituzioni, quali ministeri o agenzie di rating, che giudicano il loro credito scientifico. 

La strategia di Google e dei giganti della tecnologia è consistita nell’imposizione di una democrazia dal basso, fondata sul riconoscimento empirico del modo in cui la fiducia si distribuisce di fatto nel pubblico più ampio. L’assunto è che, in quella che Hilary Putnam ha descritto come la divisione sociale del lavoro linguistico (8), ciascuna nicchia di interesse coltiva autori specialistici, in grado di valutare (ed eventualmente linkare) i contenuti degli altri – e lettori occasionali o devoti, immersi in un movimento di approfondimento non gerarchico e non lineare tra i testi. L’esistenza stessa di Google incentiva chiunque a divulgare il proprio contributo sugli argomenti di cui si ritiene esperto, in virtù della possibilità di incontrare un pubblico di curiosi o di entusiasti che lo consulteranno. Wikipedia, l’enciclopedia «nata dal basso», ha raggiunto in questo modo un’autorevolezza di fatto superiore all’Enciclopedia Britannica, e conta su oltre 7 milioni di voci (in inglese), contro le 120 mila della concorrente più antica e più blasonata. 

Il meccanismo di controllo sulla validità dei contenuti – per la comunità di riferimento – è rimasto lo stesso di prima, ma si sono moltiplicate le congregazioni di esperti, i temi di competenza, ed è in via di dissoluzione la capacità di governare l’agenda setting di interesse collettivo da parte della classe che disponeva del monopolio di veridizione, almeno fino a un paio di decenni fa. In italiano le voci di Wikipedia sono poco meno di 2 milioni, e 2.711 di queste sono dedicate al mondo immaginario di Harry Potter, 1.643 a quello Dragon Ball, 951 a quello di Naruto; la voce Naruto conta 9.245 parole, contro le 5.557 della voce Umberto Eco, e le 6.686 di Cesare Pavese. I focus dell’attenzione e l’intensità del coinvolgimento sono distanti da quelli un tempo decretati dalle istituzioni, sono molto più numerosi, e le comunità che li coltivano possono ignorarsi o entrare in conflitto, ricorrendo a criteri del tutto divergenti di selezione dei dati, modalità di analisi, interessi pragmatici, sostegni ideologici.

L’ORIENTAMENTO DELLA CIVETTA

Quando l’11 dicembre 2016 The Guardian ha denunciato che i primi dieci risultati di Google per la domanda «Did the Holocaust really happen?» linkavano pagine negazioniste, i fondatori del motore di ricerca, Larry Page e Sergey Brin (entrambi di famiglia ebraica), hanno immaginato di risolvere il problema modificando il codice del software. Il progetto di aggiornamento Owl dell’algoritmo avrebbe dovuto trovare un metodo automatico per discriminare i contenuti veri da quelli falsi, eliminando le fake news dalla lista delle risposte (9). Un obiettivo così ambizioso dal punto di vista epistemologico non è mai stato raggiunto, sebbene Google abbia implementato da allora decine di aggiornamenti per premiare contenuti «di maggiore qualità». 

È probabile che la ricognizione degli ingegneri abbia seguito una pista sbagliata: la verità non è una proprietà formale degli enunciati che possa essere catturata con una struttura di calcolo, complesso a piacere. Per restaurare una forma univoca di verità si sarebbe dovuto ripristinare il monopolio delle istituzioni che ne stabilivano il perimetro, la gerarchia della rilevanza, il dizionario e i criteri di valutazione. La sconfinata periferia delle comunità che circondano e che assediano l’Acropoli del sapere non è popolata da gruppi che hanno sempre allignato in qualche tipo di latenza, in modo informale e sottotraccia: senza una piattaforma che permetta agli individui di riconoscere le proprie passioni (o le proprie ossessioni) come un mondo intersoggettivo, che è possibile ammobiliare e abitare con altri che le condividono, non esiste identità collettiva, confraternita, aggregazione in qualche modo individuabile. La rintracciabilità universale di qualunque contenuto, la trasformazione dei media, ha modificato il panorama della verità, in cui si muove con smarrimento solo la classe che in precedenza ne deteneva il monopolio. Lo sconcerto peraltro non riguarda i contenuti, che nella prospettiva della classe intellettuale sono rimasti gli stessi di prima – ma la denegazione della perdita di potere, il rifiuto di accettarne le conseguenze, un po’ come è capitato a Page e Brin nella loro veste di clerici. Le altre comunità appaiono invece sicure nell’elezione delle loro fonti accreditate, nell’interazione con i modelli di comportamento e di pensiero, nei criteri di discriminazione del plausibile – che non riguardano i processi di adaequatio intellectus et rei, ma il miglior adattamento all’ambiente sociale e informativo di appartenenza. Dai ragazzi di Atene a quelli che si chillano scorrendo le bacheche di TikTok nella Milano di oggi, è questa la competenza che guida in modo infallibile al riconoscimento della |verità| (10).

 

 

BIBLIOGRAFIA

(1) Svenbro, Jesper, Phrasikleia: Anthropologie de la lecture en Grece ancienne, Editions La Decouverte, Paris, 1988.

(2) Ventura, Raffaele Alberto, Radical choc. Ascesa e caduta dei competenti, Einaudi, Torino, 2020.

(3) Latour, Bruno, Non siamo mai stati moderni, tr. it. di Guido Lagomarsino e Carlo Milani, Eleuthera, Milano 2018.

(4) Foucault, Michel, L'Archéologie du savoir, Gallimard, Parigi 1969.

(5) Agamben, Giorgio, Che cos’è un dispositivo?, Nottetempo, Roma 2006.

(6) Page, Larry; Brin, Sergey; Motwani, Rajeev; Winograd, Terry, The PageRank Citation Ranking: Bringing Order to the Web, in Technical Report, Stanford InfoLab 1999.

(7) Bottazzini, Paolo, Anatomia del giudizio universale. Presi nella rete, Mimesis, Milano 2015.

(8) Putnam, Hilary,The Meaning of Meaning, in Mind, Language and Reality: Philosophical Papers, Cambridge University Press, Londra 1975, pp. 215-271.

(9) Sullivan, Danny, Google’s ‘Project Owl’ — a three-pronged attack on fake news & problematic content, «Search Engine Land», 25 aprile 2017 (https://searchengineland.com/googles-project-owl-attack-fake-news-273700) 

(10) Arielli, Emanuele; Bottazzini, Paolo, Idee virali. Perché i pensieri si diffondono, Il Mulino, Bologna 2018.


I disturbi neurologici funzionali: oltre il dualismo mente-corpo

I disturbi neurologici funzionali (o FND, dall'inglese Functional Neurological Disorders) rappresentano una delle condizioni mediche più affascinanti e complesse del panorama neurologico contemporaneo; caratterizzati da sintomi reali e invalidanti, non spiegati da alterazioni strutturali del sistema nervoso, costituiscono un caso di studio emblematico per comprendere l'intricata relazione tra mente e corpo.

DEFINIZIONE E CARATTERISTICHE CLINICHE

I disturbi neurologici funzionali sono definiti come condizioni causate da alterazioni nel funzionamento delle reti cerebrali piuttosto che da cambiamenti nella struttura del cervello stesso. Questa distinzione fondamentale è spesso illustrata attraverso l'analogia del computer: mentre in altre patologie neurologiche si osserva un danno all'"hardware" cerebrale (come la degenerazione dei neuroni nella substantia nigra nei Parkinsonismi), nei disturbi neurologici funzionali il problema risiede nel "software", ovvero nei “programmi” che regolano il funzionamento del sistema nervoso.

La sintomatologia dei disturbi neurologici funzionali è estremamente variegata e può comprendere debolezza o paralisi degli arti, disturbi del movimento come tremori e distonie, crisi epilettiche non epilettiche, problemi sensoriali, difficoltà del linguaggio, problemi visivi e uditivi, dolore cronico e alterazioni cognitive, interferendo notevolmente con la qualità di vita dei pazienti, dei loro caregiver e comportando una spesa notevole per il SSN; l’esordio può avvenire a qualsiasi età, sebbene sia più comune tra l'adolescenza e l'età adulta precoce, con una maggiore incidenza nel sesso femminile (in rapporto 3:1).

NEUROBIOLOGIA TRA FUNZIONE E STRUTTURA

Le neuroscienze hanno fornito evidenze crescenti che i disturbi neurologici funzionali non sono disturbi "immaginari" ma rappresentano condizioni neurobiologiche genuine con correlati neurali identificabili. In questo senso, appare straordinariamente attuale l’intuizione di Jean-Martin Charcot, che già alla fine del XIX secolo ipotizzava nei pazienti con isteria l’esistenza di una “lesione funzionale”, ovvero una disfunzione reale del sistema nervoso priva di una base strutturale visibile. Sebbene privo degli strumenti della neurologia moderna, Charcot riconobbe che l’assenza di una lesione anatomica non implicava l’inesistenza di un disturbo neurologico autentico - un’intuizione che trova oggi conferma nei dati neurobiologici contemporanei. Particolarmente significative sono le alterazioni osservate a carico del salience network, del default mode network e nelle connessioni tra aree cortico-limbiche e regioni motorie. Il salience network, composto principalmente dall'insula anteriore e dalla corteccia cingolata anteriore dorsale, è responsabile del rilevamento e del filtraggio degli stimoli rilevanti e della regolazione emotiva. Nei pazienti con disturbo neurologico funzionale, questo sistema mostra iperattivazione e connettività alterata con le aree motorie, suggerendo un'influenza eccessiva dei processi emotivi sul controllo motorio. Il default mode network, attivo durante il riposo cosciente e coinvolto nei processi di auto-riferimento e nella costruzione del senso di sé, presenta anch'esso alterazioni in questi pazienti. Queste modificazioni potrebbero riflettere disturbi nei processi di integrazione dell'esperienza soggettiva e nella percezione di agency, ovvero nella sensazione di controllo sulle proprie azioni.

I DISTURBI NEUROLOGICI FUNZIONALI COME PARADIGMA DEL RAPPORTO MENTE-CORPO

Storicamente, l’approccio cartesiano alla medicina ha portato a una netta distinzione tra cause organiche e psicogene, relegando i disturbi neurologici funzionali nell’ambito delle patologie “senza base organica”. Tuttavia, le evidenze attuali dimostrano che questa dicotomia è riduttiva: gli stati mentali, come lo stress, il trauma o i conflitti emotivi, possono indurre alterazioni misurabili nei circuiti cerebrali, nei pattern di attivazione neuronale e nei processi di integrazione sensomotoria, senza che vi sia necessariamente un danno strutturale rilevabile con le tecniche diagnostiche convenzionali.

La definizione storica di “disturbo di conversione” o “di somatizzazione” per quelli che oggi chiamiamo disturbi neurologici funzionali, radicata nella teoria freudiana della conversione di conflitti psichici in sintomi somatici, rifletteva una comprensione limitata e spesso stigmatizzante della condizione. Oggi, la ricerca riconosce che questi disturbi non sono semplicemente manifestazioni di conflitti inconsci, ma il risultato di una complessa interazione tra vulnerabilità biologiche (come predisposizioni genetiche o alterazioni neurochimiche), fattori psicologici (traumi, stili di coping, attenzione selettiva ai sintomi) e contesti sociali (stress ambientali, dinamiche familiari, influenze culturali).

L’approccio attuale è quindi multidisciplinare e integrato: la diagnosi si basa su criteri clinici positivi e segni neurologici specifici, mentre il trattamento prevede interventi personalizzati che possono includere la riabilitazione neurologica, la psicoterapia e, quando necessario, il supporto farmacologico. Questa visione supera la dicotomia cartesiana, promuovendo una comprensione più ampia e meno stigmatizzante della malattia, e sottolinea l’importanza di un approccio empatico e collaborativo nella gestione dei pazienti con disturbo neurologico funzionale.

CONCLUSIONI

I disturbi neurologici funzionali costituiscono un caso emblematico della complessità del rapporto mente-corpo, rivelando quanto siano ormai inadeguate le dicotomie tradizionali della medicina occidentale per spiegare la natura (che è invece profondamente integrata) dell’essere umano. Lungi dall’essere semplici anomalie “psicogene”, si impongono oggi come una sfida cruciale per la medicina contemporanea: non solo per la loro eterogeneità clinica e l’impatto sulla qualità di vita, ma soprattutto per l’opportunità epistemologica che rappresentano. 

La moderna comprensione di questa condizione così fraintesa in passato, alimentata dai progressi delle neuroscienze, offre una finestra privilegiata per indagare i meccanismi attraverso cui l’esperienza soggettiva si incarna nel corpo e nel cervello, mostrando come stati mentali complessi possano influenzare direttamente il funzionamento dei network cerebrali. In tal senso, i disturbi neurologici funzionali mettono in discussione le rigide separazioni tra neurologia e psichiatria, tra cause organiche e fattori psicologici. L’evoluzione della ricerca scientifica, insieme a una crescente sensibilità clinica, sta gradualmente restituendo legittimità e riconoscimento a una condizione per troppo tempo relegata ai margini del sapere medico. Questa condizione ci obbliga a ricordare che mente e cervello non sono domini separati, ma aspetti interdipendenti di una stessa realtà incarnata, e ci sollecitano a ripensare profondamente non solo le categorie diagnostiche, ma anche il modo in cui intendiamo la cura. 

 

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Aybek, S., & Perez, D. L. (2022). Diagnosis and management of functional neurological disorder. BMJ, o64. https://doi.org/10.1136/bmj.o64 

Baek, K., Doñamayor, N., Morris, L. S., Strelchuk, D., Mitchell, S., Mikheenko, Y., Yeoh, S. Y., Phillips, W., Zandi, M., Jenaway, A., Walsh, C., & Voon, V. (2017). Impaired awareness of motor intention in functional neurological disorder: Implications for voluntary and functional movement. Psychological Medicine, 47(9), 1624–1636. https://doi.org/10.1017/S0033291717000071 

Edwards, M. J., Yogarajah, M., & Stone, J. (2023). Why functional neurological disorder is not feigning or malingering. Nature Reviews Neurology, 19(4), 246–256. https://doi.org/10.1038/s41582-022-00765-z 

Hallett, M., Aybek, S., Dworetzky, B. A., McWhirter, L., Staab, J. P., & Stone, J. (2022). Functional neurological disorder: New subtypes and shared mechanisms. The Lancet Neurology, 21(6), 537–550. https://doi.org/10.1016/S1474-4422(21)00422-1 

Voon, V., Brezing, C., Gallea, C., & Hallett, M. (2011). Aberrant supplementary motor complex and limbic activity during motor preparation in motor conversion disorder. Movement Disorders, 26(13), 2396–2403. https://doi.org/10.1002/mds.23890


Il cosmismo russo e le sue continuazioni

I cosmisti erano guidati dal desiderio di superare l'entropia del mondo e, come conseguenza, raggiungere l'immortalità umana, partendo dall'analogia tra il microcosmo umano e il macrocosmo universale. Se l'universo è infinito nello spazio, allora l'uomo deve essere infinito nel tempo e, dunque, solo nell'unione con il cosmo è possibile realizzare l’idea di immortalità. La realizzazione del progetto deve cominciare con la trasformazione antropologica dell'essere umano, basata su cambiamenti spirituali e morali. In sostanza, il cosmismo russo è una fase dell'evoluzionismo teistico, esistente da tempo, che prese la forma di un progetto dettagliato nel XIX secolo in Russia. Il progetto del XIX è stato seguito da una adozione, seppur modificata, nel pensiero sovietico post-rivoluzionario.

All'interno del grande movimento del cosmismo russo si distinguono tre direzioni:

  • quella scientifico-naturale, in cui si poneva maggiore attenzione all'esplorazione scientifica e tecnica dello spazio;
  • quella religioso-filosofica, che interpretava il significato dello sviluppo spirituale e morale dell'uomo;
  • quella artistico-estetica, che insisteva sul ruolo predominante dell'arte come mezzo per la trasformazione cosmica del mondo.

Queste direzioni non si opponevano l'una all'altra, ma esistevano come tre in uno, con un obiettivo comune, la stessa piattaforma spirituale e un'unica idea della struttura del mondo, dell'uomo e dello spazio.

Il fondatore della direzione scientifico-naturale del cosmismo russo è il filosofo Nikolaj Fëdorov (1829–1903). Egli sosteneva che l'uomo, la natura e lo spazio sono uniti e interconnessi, perciò i cambiamenti nell'uomo, lo sviluppo della sua capacità di controllarsi non solo spiritualmente ma anche fisicamente, porteranno al controllo dell'uomo sulla natura e sullo spazio. E per fare ciò, è necessario superare le mancanze e i peccati che causano divisione tra le persone e ostilità. La direzione dell'evoluzione umana è indicata da Cristo nell'idea della resurrezione. Fëdorov unisce la dottrina cristiana al positivismo: per regolare la natura (stabilire nuove leggi), è necessario ricomporre gli atomi, il che cambierà non solo i fenomeni naturali, ma anche l'organismo umano.

Il più alto stadio di regolazione sarà uno stato della materia, della mente e dello spirito tale da permettere la resurrezione degli antenati defunti: essi appariranno nel mondo in una nuova forma ideale, dotata della capacità di autocreare un corpo a partire da sostanze inorganiche. Fëdorov non parla dell'immortalità cristiana delle anime, ma dell'immortalità dei corpi, che diventeranno come esemplari viventi da museo. Questo stadio dell'evoluzione verrà raggiunto quando l'umanità imparerà a controllare non solo se stessa e la natura, ma anche il Sole e l'Universo, che diventeranno il luogo per il reinsediamento degli antenati resuscitati e dei nuovi nati.

Konstantin Tsiolkovsky (1857–1935) credeva che non ci fosse alcuna frattura ontologica tra la mente e il mondo e, di conseguenza, che il cervello umano fosse una parte materiale dell'universo e che la volontà di un individuo riflettesse la volontà dell'universo.

Tsiolkovsky credeva nell'immortalità come indistruttibilità dell'essenza del mondo, che cambia solo forma. Creò una sua versione del Nuovo Testamento, secondo la quale Dio e l'universo, spirito e materia sono una cosa sola. La futura “beatitudine cosmica” non è immaginabile nello spazio tridimensionale: essa esiste in un oceano multidimensionale di luce, volontà razionale e grazia, abitato da esseri umani ideali. La competizione capitalista e lo sfruttamento devono essere sostituiti dal collettivismo e dalla solidarietà tra le persone.

Per avvicinare la felicità sulla Terra, Tsiolkovsky propose un piano di ricostruzione della società, che consisteva in uno stato totalitario su scala globale con una gestione gerarchica, al cui vertice si trovavano scienziati e artisti.

L'idea di Fëdorov di reinsediare gli antenati resuscitati nello spazio e di viaggiare attraverso le galassie ispirò Tsiolkovsky a sviluppare un modello di astronave. Egli effettuò i calcoli matematici dei parametri tecnici di un razzo in grado di lanciare un veicolo in orbita terrestre. In seguito, questi calcoli furono utilizzati da F.A. Zander, uno dei creatori del primo razzo sovietico a combustibile liquido, e da S.P. Korolev, progettista generale della tecnologia missilistica e spaziale sovietica.

Il “Regno dei Cieli” cosmico nella concezione di Vladimir Vernadsky (1863–1945) si manifesta nella forma della noosfera. Con noosfera (sfera dell'intelligenza), Vernadsky intendeva una fase nello sviluppo della biosfera, in cui l'attività razionale e intellettuale dell'umanità collettiva comincia ad avere una portata geologica, planetaria e poi extraplanetaria. Essa nasce come naturale sviluppo della biosfera in direzione etica e creativa.

L'ideale dello sviluppo noosferico diventa la sua “autotrofia”, cioè la liberazione dal bisogno di ottenere energia dalla biosfera terrestre e l'espansione dello sviluppo evolutivo dell'umanità prima nello spazio vicino (il sistema solare), e poi nello spazio lontano.

(Alla corrente religiosa e filosofica del cosmismo russo appartenevano Vladimir Solov’ëv, Nikolaj Berdjaev, Sergej Bulgakov, Pavel Florenskij e altri.

Il suo principale rappresentante, Vladimir Solov’ëv (1853–1900), affermava che l'umanità può rinascere solo attraverso la verità in Cristo, che comporta la distruzione della «grossolana ignoranza delle masse, la prevenzione della devastazione spirituale delle classi alte e l'umiliazione della violenza brutale dello Stato».

Solov’ëv riponeva le sue speranze nella trasformazione dell'umanità attraverso la teocrazia, ovvero tramite la creazione di uno Stato giusto e di un ordine sociale equo, in grado di realizzare gli ideali cristiani.

Come per gli altri cosmisti russi, nella sua visione l'idea dell'unità universale delle persone è di importanza primaria; questa idea, nella tradizione ortodossa russa, è chiamata "sobornost’" (conciliarità). Essa non è intesa come un'unione meccanica di individui, ma come:

«l'unità di tutti in uno, la coscienza di tutti in sé stessi e di sé stessi in tutti».

Tutti i cosmisti consideravano l'arte come mezzo di trasformazione del mondo, e non in senso metaforico, bensì in senso pratico: l'arte era riconosciuta come capace di trasformare fisicamente la materia.

Questo era il pensiero di Aleksandr Skrjabin (1872–1915), il rappresentante più coerente della corrente artistico-estetica del cosmismo russo. Con la sua ultima composizione (rimasta incompiuta), intitolata “Mistero”, il compositore intendeva completare l'esistenza del mondo attuale, unire lo spirito del mondo con la materia e dare così origine alla nascita di un nuovo mondo in forme non solo spirituali, ma anche materiali.

Quest'opera grandiosa e sincretica era pensata per un'enorme orchestra, un coro di 7.000 cantanti, luci, danza e movimenti plastici, e doveva essere rappresentata sulle rive del fiume Gange, in un tempio che si elevava sopra la Terra. L'intento era quello di unire l'umanità in un amore universale (compreso l'amore erotico), portando questo sentimento a uno stato estatico, in cui la materia si sarebbe fusa in un altro stato, unendosi con lo Spirito Assoluto per dare origine a una nuova vita cosmica in altre dimensioni.


Riassumendo le idee principali del cosmismo russo, possiamo evidenziare alcune proposte fondamentali considerate necessarie per raggiungere la fase cosmica dello sviluppo umano, nel senso più ampio del termine:

  • Fede nei valori cristiani come base spirituale dello sviluppo umano.
  • Relazione tra spirito e materia: lo sviluppo evolutivo della materia conduce a forme superiori di coscienza, la quale, a sua volta, è in grado di ricostruire la materia in una fase avanzata del progresso.
  • Al centro del cosmismo vi è la creazione di un nuovo tipo antropologico di uomo e, di conseguenza, di una nuova umanità:
  • Unità tra antropologico, sociale e ontologico: in altre parole, il modo fisico di esistenza dell'umanità è determinato dalle caratteristiche antropologiche dell'uomo, che a loro volta determinano la struttura sociale.
  • La società spaziale del futuro si fonda sull'unione fraterna dell'umanità, basata sull'amore, sull'uguaglianza e sulla solidarietà a livello planetario.
  • Le utopie cosmiste descrivono una società futura centralizzata, collettivistica e gerarchica, con scienziati e artisti al vertice della gerarchia cosmica, a testimonianza di una dominanza dello spirituale nella scala di valori.

Paradossalmente, ma in modo naturale, uno sviluppo concreto delle idee cosmiste fu rappresentato dalla Repubblica Sovietica nata nel 1917, che mirava alla costruzione di una società senza classi, in cui le differenze tra gli individui fossero superate. L'individualismo venne sostituito dal collettivismo, che trae origine sia dalla fratellanza cosmica che dalla sobornost’ ortodossa.

I comunisti sostituirono l'unità in Dio con l'unità nel collettivo, mettendo gli interessi della società e dello Stato al di sopra di quelli individuali. Questo contribuì al raggiungimento di straordinari risultati in tempi brevi, come i progressi scientifici e spaziali dell'URSS. Il “Codice del Costruttore del Comunismo” – documento ufficiale del Partito Comunista – proponeva una morale affine ai comandamenti cristiani, benché l'ideologia sovietica fosse basata sul materialismo marxista. La morale comunista affermava la prevalenza dello spirituale sul materiale, sia per l'individuo che per la collettività.

Fu così introdotta l'istruzione obbligatoria e gratuita per tutti, e fu assegnato un ruolo speciale a scienziati, letterati e artisti, che – come nei testi cosmisti – occupavano il vertice della piramide sociale. L'impulso spirituale collettivo, che pervadeva la coscienza popolare, conteneva in sé il potenziale per trasformarsi in risultati materiali concreti. Come affermò Lenin:

«Un'idea che si impadronisce delle masse diventa una forza materiale».

Tuttavia, i comunisti non portarono avanti l'idea di immortalità fisica, forse perché si prefiggevano di costruire il “Paradiso in Terra”, cioè il comunismo come ideale società terrena. È interessante notare come la descrizione dell'utopia terrena di Tsiolkovskij, il più materialista dei cosmisti, anticipi elementi della società sovietica: gerarchia, totalitarismo, collettivismo, centralizzazione.

La realizzazione di questo “paradiso in terra” era però possibile solo con un nuovo tipo di uomo, l'uomo ideale sovietico, caratterizzato da altruismo, eroismo, volontà, spirito, alto livello di istruzione, disprezzo per il materiale, dedizione al lavoro, modestia e umanesimo. Sebbene nella realtà non fosse possibile trasformare tutta la popolazione in esseri ideali, si ritiene che basti l'8% della popolazione a possedere queste caratteristiche per innescare un salto evolutivo. È ciò che accadde: l'URSS fu la prima a progettare un'astronave e a mandare un uomo nello spazio. È simbolico che il cognome del primo cosmonauta, Gagarin, fosse lo stesso del padre fondatore del cosmismo, Nikolaj Fëdorov.

Le idee dei cosmisti russi del XIX e XX secolo stanno tornando particolarmente attuali nel XXI secolo. Tra gli obiettivi dichiarati oggi ci sono:

  • l'esplorazione dello spazio,
  • il controllo dei cataclismi naturali,
  • la trasformazione radicale del corpo umano (cambio di sesso, razza, ecc.),
  • l'immortalità attraverso clonazione, ingegneria genetica, sostituzione degli organi.

Molti osservano come questo progetto transumanista e spaziale presenti somiglianze con le teorie cosmiste e con le ideologie di sinistra radicale. Tuttavia:

  1. Il progetto sovietico è un caso unico, in quanto ha unito una visione radicale di sinistra con la mentalità tradizionale russa, dando origine a un fenomeno socio-antropologico irriducibile ad altre teorie precedenti.
  2. Nonostante le somiglianze apparenti, esiste una differenza fondamentale: i cosmisti ponevano al centro la trasformazione spirituale e morale dell'uomo, come fonte primaria di ogni altro cambiamento, anche materiale. Al contrario, i progetti moderni partono dalla trasformazione fisica del corpo, della Terra e dello spazio. Ma un futuro costruito solo su queste basi potrebbe sembrare più un inferno che un paradiso.

Oggi, lo spazio vicino alla Terra, divenuto campo di competizione corporativa, è una discarica orbitale; si ipotizza perfino il suo uso militare. La gestione “efficiente” del pianeta, ignorando solidarietà e fratellanza, non resuscita i morti, ma uccide i vivi. La ricerca ossessiva dell'immortalità fisica ignora le anime. La disuguaglianza sociale cresce, l'amore fra gli esseri umani diminuisce. Questo vettore di sviluppo dell'umanità moderna è l'opposto di ciò che i filosofi cosmisti auspicavano.