Tennis, ma le donne giocano meno bene degli uomini?
Adriano Panatta, negli anni ‘70 del secolo scorso (una vita fa!), era un bel ragazzo che giocava molto bene a tennis.
Nel suo anno di grazia, il 1976, vinse gli Internazionali d’Italia a Roma e il Roland Garros a Parigi, uno dei tornei del Grande Slam, quelli che danno “l’immortalità tennistica”, nonché trascinò l’Italia alla vittoria della Coppa Davis (quando era ancora una cosa seria, ma questo è un altro argomento).
Adriano non durò molto ai suoi livelli migliori e già nel 1979 la sua carriera era in evidente calo. Fu un giocatore molto amato in Francia, sicuramente per il suo aspetto e per l’eleganza dei gesti, molto discusso in Italia dove fu costantemente accusato di allenarsi troppo poco e di “dolce vita”, non senza qualche ragione.
L’Italia si accorse di aver perso un giocatore importante e un uomo arguto solo quando smise di giocare e ne venne fuori un “innamoramento” postumo, che ha fatto sì che da anni Adriano sia diventato una specie di vate i cui giudizi sono difficilmente discutibili.
Ebbene, Panatta pochi giorni fa, pur con la sua solita ironia, ha detto una cosa forte: il tennis femminile “non si può guardare” per quanto è brutto!
Ohibò! Per fortuna non ne è nata una guerra di religione immediata; sarà perché lui le cose le dice con una nonchalance disarmante.
Ma le domande restano: le donne giocano veramente male? E se sì, perché?
La mia risposta è: sicuramente no, le donne non giocano affatto male; però è vero che il tennis femminile è diventato noioso. Un tempo, invece, non lo era.
Non c’è nessun motivo né fisico né mentale perché le donne debbano giocare meno bene degli uomini; fatto salvo che, per ovvi motivi di struttura scheletrica e muscolare, i loro colpi viaggiano a velocità inferiori. Allora proveremo a capire perché il tennis femminile è accusato di essere monotono.
Tutto il tennis è diventato negli ultimi venti / trent’anni uno sport in cui conta sempre di più la potenza. Basti vedere anche l’evoluzione fisica dei giocatori top. Negli anni 60 i grandi dominatori dell’epoca, gli australiani Rod Laver e Ken Rosewall, erano alti circa 1.70. Negli anni 70 – 80 i Borg, McEnroe, Connors, lo stesso Panatta, erano uomini alti 1.80 o poco più. Oggi i migliori sono tutti poco sopra o poco sotto il metro e novanta (lo stesso è avvenuto nel calcio, per i portieri). La maggiore potenza fisica e l’evoluzione delle racchette ha fatto sì che il gioco sia diventato molto più veloce (la stessa cosa è avvenuto nella pallavolo) e tutta una serie di schemi di gioco oggi risulta più difficile da eseguire. Una volta molti giocatori facevano il cosiddetto “serve & volley”, ovvero il giocatore o la giocatrice al servizio seguiva a rete la propria battuta, per chiudere il punto al volo. Oggi il serve & volley non lo fa più nessuno (se non sporadicamente) perché la velocità del servizio e della risposta sono troppo elevate per gestire questo schema. E così per altre soluzioni di gioco, che sono diventate non più vantaggiose data la velocità dei colpi.
Quindi il gioco è diventato molto più uniforme: un po’ tutti giocano gli stessi colpi con gli stessi movimenti (ripetuti meccanicamente migliaia e migliaia di volte) e i giocatori (uomini e donne) che sanno variare sono pochissimi, perle rare.
Curioso il paragone con un’attività agonistica, in cui lavora molto il cervello e praticamente nulla i muscoli: gli scacchi. Anche negli scacchi è diminuita la creatività del gioco; tutte le mosse sono state analizzate da computer potentissimi che hanno scandagliato le infinite (miliardi di miliardi) combinazioni possibili. Il risultato è che oggi le prime 20 mosse nei tornei sono praticamente standardizzate e molte aperture sono cadute in disuso.
Ma torniamo al tennis: perché a essere sotto accusa è soprattutto il tennis femminile? (Non c’è solo Panatta che dice che è noioso).
Perché è assolutamente vero che nel tennis maschile si possono ancora vedere giocatori con caratteristiche diverse, che giocano con stili diversi – le perle rare di cui parlavo sopra; mentre in quello femminile si fa veramente fatica a distinguere una giocatrice dall’altra.
Ma il motivo di certo non va cercato in differenze genetiche tra uomini e donne. Il punto è che gli allenatori hanno spinto sull’incremento della forza e sulla potenza, ancor di più sulle ragazze. Probabilmente sembrava la strada più rapida per migliorare le prestazioni delle atlete, ma questo è andato a scapito di una preparazione tecnica completa e non standardizzata.
E tutto questo, credo, è successo anche perché da una quindicina d’anni si è affacciata una generazione di ragazze dell’est, fisicamente dotatissime, con una volontà di sfondare fortissima, poco propense a considerare il tennis uno sport, bensì un mezzo per farsi largo nella vita a gomitate.
Mi sembra una situazione che ha molto a che fare con aspetti di riscatto ed emancipazione sociale, cavalcati da allenatori con scarsa visione.
È un vero peccato perché le donne, invece, hanno sempre fatto vedere un bellissimo tennis. Senza tornare agli albori di questo sport, negli anni ‘70 – ‘80 abbiamo avuto campionesse come Martina Navratilova, Hana Mandlikova, Chris Evert e successivamente, in anni più recenti, ragazze come Justine Henin, Martina Hingis, Ageska Radwanska, l’italiana Francesca Schiavone… tutte ragazze in grado di giocare una grandissima varietà di colpi, capaci di inventare soluzioni impensabili, di esternare talento puro. Pura bellezza per chi ama lo sport!
No, non c’è nessun motivo perché le donne non possano giocare bene a tennis e tutti vogliamo rivedere la loro creatività. Servono allenatori intelligenti, che spieghino alle bambine che si affacciano a questa meravigliosa disciplina che non è una guerra ma è un gioco.
Chi compete, pur nello stress di una partita di alto livello, deve avere dentro di sé ancora un po’ del bambino che gioca e si diverte, solo così può dare sfogo alla creatività, provare cose difficili e imprevedibili. Tutte cose che le donne sanno fare benissimo, basta che la smettano – mal consigliate – di pensare che per vincere servano solo muscoli e cattiveria.
E in questo senso una bella eccezione viene dall’Italia. Jasmine Paolini, fresca vincitrice degli Internazionali a Roma e finalista l’anno scorso al Roland Garros e a Wimbledon, sta conquistando il mondo col suo atteggiamento e il suo approccio all’agonismo.
Lei in campo sorride, esprime una gioia contagiosa in totale contrasto con i visi arcigni e tesi delle sue avversarie. E con questo atteggiamento mentale, e una indubbia dose di talento e intelligenza tennistica, finisce col battere avversarie ben più alte e potenti di lei.
C’è ancora speranza per un cambio di mentalità che possa portare a rivedere tutto il talento che le donne sanno esprimere anche nello sport.