Le sfide della scienza post-normale - Come costruire comunità estese di pari

La scienza post-normale (PNS) di cui parliamo in questa serie di articoli (ad esempio nel nostro precedente intervento) non descrive solo la condizione moderna che attraversa la scienza nella sua relazione con la politica e la società, ma ambisce a fornire pratiche utili per affrontare le situazioni conflittuali che spesso emergono in contesti di crisi ambientali e sanitarie.

Quando «i fatti sono incerti, i valori in contrasto e la posta in gioco elevata», secondo la PNS, le decisioni di policy non possono basarsi solo su fatti tecnici e scientifici. Serve, invece, il contributo di una «comunità estesa di pari» fatta da scienziati e scienziate portatrici di prospettive minoritarie, persone esperte di altri settori rilevanti, cittadini e cittadine che possono contribuire con conoscenze locali non riconosciute dalla scienza “normale”: serve, cioè, una comunità fatta da tutte le persone portatrici degli interessi in gioco.

GLI OSTACOLI ALLA COSTRUZIONE DI COMUNITÀ DI PARI (E COME RIMUOVERLI)

Nonostante moltissime delle sfide globali di oggi si configurino come propriamente post-normali, l’idea di costruire una comunità estesa di pari si scontra sia sul piano metodologico che su quello simbolico, con uno dei fondamenti ideologici della scienza moderna: l’idea che la produzione di fatti scientifici sia frutto del pensiero collettivo di una comunità omogenea di soli esperti. Per far spazio ai nuovi ruoli della scienza nei contesti pubblici, è fondamentale, pertanto, decostruire queste narrazioni.

Il pensiero femminista, che a lungo si è interrogato sull’esclusione delle donne dalla scienza, può offrire strumenti critici per osservare e comprendere gli ostacoli al riconoscimento delle comunità estese nei contesti PNS, contribuendo a ripensare il ruolo di persone esperte e non esperte nella produzione di conoscenza. Le studiose femministe sono state tra le prime a mettere in discussione la presunta oggettività della conoscenza scientifica e l’illusoria separazione tra fatti e valori, insite in tale visione della scienza. Come ricordano Eleonora Severini, Elena Gagliasso e Cristina Mangia nel volume che abbiamo curato[1], con l’epistemologia dei punti vista, queste pensatrici propongono un’idea di scienza come traguardo sociale da perseguire collettivamente per arrivare a costruire una “oggettività forte”.

L’attitudine al dialogo inter e transdisciplinare, necessaria per creare comunità di pari, non è incentivata neanche nei percorsi formativi di ricerca. Nella cultura scientifica contemporanea si tramanda spesso un’idea gerarchica tra scienza e altri saperi, che stabilisce la rilevanza dei problemi, gli attori e le conoscenze che possono (o non possono) contribuire alla loro definizione e soluzione. In questo rapporto asimmetrico tra i saperi, ai poli opposti si trovano spesso scienza e arte, considerate sfere culturali separate: rappresentazione oggettiva della realtà, strumento privilegiato per conoscere e agire nel mondo, la prima; espressione della soggettività e delle emozioni, puro veicolo del bello, la seconda. Nel progetto di ricerca presentato da Rita Giuffredi nello stesso volume, è proposto un percorso transdisciplinare che mira a far emergere queste narrazioni. A partire da un caso di studio complesso, la fertilità del suolo, un gruppo di giovani ricercatrici e ricercatori italiani è stato coinvolto in un’azione di scavo collettivo, proposta come metodologia di indagine estetica che investiga le identità dei partecipanti, le connessioni tra i diversi sistemi di conoscenza, i confini (spesso veri e propri muri) che definiscono e legittimano le discipline diverse forme di conoscenza. Il percorso ha permesso di mettere a confronto, immaginare e costruire nuove visioni e relazioni tra scienza, società, ecosistemi e attori umani e non umani, e può costituire una traccia da seguire in questo contesto.

NUOVI RUOLI ANCHE PER LA CITTADINANZA NEGLI SCENARI PNS

La comunità di pari non implica solo nuovi ruoli per chi si occupa di ricerca scientifica, ma anche per la cittadinanza che oggi - in una società dove il sapere non si genera solo nelle accademie e nelle istituzioni di ricerca - diventa parte attiva nella produzione di conoscenza, dilatando la stessa nozione di comunità estesa di pari. È quanto è accaduto durante la pandemia da Covid, dove i comportamenti individuali e collettivi si sono rivelati cruciali per affrontare l’emergenza. Le persone, spiega Mariachiara Tallacchini nello stesso volume, hanno ricevuto una doppia delega, cognitiva e normativa: da un lato, il compito di comprendere e contestualizzare le informazioni scientifiche alla base delle proprie scelte; dall’altro, la responsabilità di aderire con fiducia alle direttive istituzionali che si sono succedute in quei momenti drammatici.

Le potenzialità di questa configurazione partecipativa per uno sviluppo democratico e responsabile del rapporto istituzioni-esperti-società sono enormi, ma ancora largamente sottovalutate. È necessario il riconoscimento delle “capacità epistemiche” diffuse nella cittadinanza e l’attivazione di nuove pratiche di apprendimento, individuale e collettivo. Solo in questo modo sarà possibile fronteggiare con adeguata preparazione (preparedness) le sempre più frequenti situazioni di incertezza in cui ci troviamo ad operare.

COSTRUIRE COMUNITÀ DI PRATICHE

Nello stesso volume cui ci riferiamo in questo post, il tema della comunità estese di pari è esplorato anche nel suo farsi pratica di ricerca collaborativa, inter, multi e transdisciplinare. Anna Scolobig, ad esempio, presenta alcune riflessioni su un processo partecipato finalizzato all’elaborazione di un piano di mitigazione del rischio da frana per la città di Nocera Inferiore in Campania. Attraverso il confronto tra le diversità disciplinari del personale di ricerca coinvolto, - dalla geotecnica alla sociologia – e il coinvolgimento di soggettività locali (residenti, imprese, amministrazioni) - sono state identificate priorità comuni che hanno portato alla definizione di un piano di mitigazione condiviso, poi implementato con interventi di ingegneria naturalistica, che dura tuttora.

 

NOTE

[1] L’Astorina, A. & Mangia, C. (eds). (2022). Scienza, politica e società: l’approccio post-normale in teoria e nelle pratiche. SCIENZIATI IN AFFANNO? (Vol. 1): pp.296. Cnr Edizioni. https://doi.org/10.26324/SIA1.PNS


Le sfide della scienza post-normale - Dalla teoria alle pratiche di ricerca

Cosa significa fare e condividere ricerca scientifica, quando ci si trova di fronte a situazioni in cui i problemi sono complessi, richiedono decisioni che riguardano la vita di molte persone ma per le quali il livello di incertezza scientifico è molto alto? È la domanda che si fa spesso chi opera in contesti di crisi ambientale o sanitaria e in condizioni che incarnano le caratteristiche della scienza post-normale (PNS): fatti incerti, valori in conflitto, alta posta in gioco e la necessità di decisioni urgenti.

RICERCA E COMUNICAZIONE DELLA SCIENZA IN CONTESTI POST-NORMALI

Alcune risposte a questa domanda si trovano in un volume collettivo (L’Astorina, A. & Mangia, C. (eds). (2022). Scienza, politica e società: l’approccio post-normale in teoria e nelle pratiche. SCIENZIATI IN AFFANNO? (Vol. 1): pp.296. Cnr Edizioni. https://doi.org/10.26324/SIA1.PNS) che raccoglie alcune esperienze di ricerca collaborativa nel contesto italiano ma in ambiti scientifici, sociali e culturali diversi, in cui la PNS si incrocia con altri approcci epistemologici ed esistenziali, dentro e fuori l’accademia,  che si rifanno in maniera più o meno diretta ai suoi principi. Le esperienze esplorano il lessico della PNS nel suo farsi azione: la scomodità dei nuovi ruoli di chi fa ricerca in questi contesti, la costruzione di comunità estese di pari, l’intreccio inscindibile tra fatti e valori, il difficile equilibrio tra i tempi della partecipazione e l’urgenza delle decisioni; le sfide educative e politiche in una democrazia in cambiamento.

In questo blog vogliamo condividere alcune riflessioni maturate nella costruzione di questo volume, raccontare le sfide e le opportunità per chi voglia passare dal contesto teorico delineato dalla PNS alle esperienze pratiche, consapevoli che non esiste una ricetta unica per ogni caso. Il passaggio dalla teoria alla pratica richiede ogni volta un’indagine critica del contesto, degli obiettivi, dei vincoli e dalle poste in gioco.

PARTECIPAZIONE E CO-CREAZIONE IN TERRITORI POST-NORMALI IN ITALIA

In Italia, molte emergenze ambientali e sanitarie possono essere definite “post-normali” e coinvolgono territori profondamente segnati da attività industriali ad alto impatto, che ne hanno trasformato la storia e compromesso il futuro. Qui, comunità di cittadini, associazioni, movimenti si ribellano agli insulti subiti dai loro territori e cercano di immaginare un destino diverso, collaborando con ricercatori e amministrazioni locali per costruire nuove alleanze e proporre una diversa narrazione dei fatti. Nascono così esperienze ibride, in cui ciascun attore ridefinisce i propri ruoli in una dialettica che non è mai semplice ma di certo più democratica, come viene descritto in alcuni degli esempi tratti dalla raccolta e che presentiamo di seguito.

EPIDEMIOLOGIA PARTECIPATA A MANFREDONIA

Un esempio emblematico di ricerca partecipata è quello raccontato da Cristina Mangia, Annibale Biggeri e Bruna De Marchi a Manfredonia, in Puglia. La cittadina ha vissuto a lungo le conseguenze della presenza di un grande impianto petrolchimico, con incidenti industriali e una diffusa sfiducia nelle istituzioni. Qui, un progetto di epidemiologia partecipata ha coinvolto attivamente la comunità locale in tutte le fasi dell’indagine: dalle domande di ricerca alla raccolta e analisi dei dati, fino all’interpretazione degli scenari. Questo approccio ha ricostruito la fiducia, ridato voce ai cittadini e migliorato la qualità scientifica della ricerca, arricchendola di conoscenze territoriali.

CITIZEN SCIENCE NELLA TERRA DEI FUOCHI E LUNGO IL TEVERE

Un altro esempio importante è quello di Laura Greco e Maura Peca (Associazione A Sud, Centro Documentazione Conflitti Ambientali (CDCA)), che raccontano esperienze di citizen science nella Terra dei Fuochi, a Colleferro e lungo il Tevere e l’Aniene, dove libere associazioni di cittadini utilizzano strumenti scientifici per ottenere giustizia ambientale e contrastare l’avvelenamento di aria, suolo e acqua. La citizen science è un termine usato per indicare un’attività di collaborazione alla ricerca da parte di cittadini che non abbiano necessariamente una formazione scientifica, ma nelle sue varie declinazioni pratiche il grado di coinvolgimento e il ruolo dato ai “non esperti” può essere diverso tanto quanto i suoi esiti. Decidere insieme la domanda di ricerca, come è il caso presentato dalle due autrici, rafforza la relazione tra cittadini e scienziati, mentre limitarne il ruolo alla sola raccolta dati riduce l’impatto politico delle azioni. Quando le comunità sono coinvolte in tutte le fasi del processo, diventano protagoniste consapevoli della produzione di conoscenza e comunicazione scientifica. Questo approccio valorizza le loro competenze e la loro familiarità con l’incertezza, contribuendo a una lettura più articolata e completa della realtà.

PROGRAMMAZIONE TERRITORIALE PARTECIPATA IN SICILIA

Giuseppina Carrà, Gabriella Vindigni, Clara Monaco, Giulia Maesano e Iuri Peri raccontano l’esperienza di programmazione partecipata lungo la costa jonica della Sicilia, nel settore della pesca. Qui è stato avviato un processo che, con l’ausilio di figure esperte in facilitazione, ha integrato strumenti di analisi multicriteri con tecniche di mappatura deliberativa. I piccoli pescatori e altri portatori di interesse hanno partecipato attivamente alla definizione dei problemi, alla valutazione dei modelli scientifici e alla scelta delle soluzioni. Questa metodologia ha favorito l’apprendimento collettivo e la legittimazione delle decisioni, permettendo lo sviluppo di strategie condivise per la diversificazione delle attività economiche della zona.

GESTIONE PARTECIPATA DEI RISCHI E DEI DISASTRI

Bruna De Marchi e Scira Menoni approfondiscono due casi di studio sulla gestione partecipata dei rischi e dei disastri. Sottolineano l’importanza di integrare conoscenze scientifiche e saperi pratici, e di comunicare non solo il rischio, ma anche le modalità di gestione e risposta, coinvolgendo tutti gli attori sociali, dalle istituzioni ai cittadini. Entrambe le esperienze mostrano che la conoscenza non si trasmette semplicemente, ma si costruisce in modo partecipato attraverso un processo sociale. Le autrici incoraggiano il dialogo tra discipline diverse e l’integrazione di competenze professionali e non, mantenendo sempre il rigore analitico.

LA PNS: UNA NUOVA POSTURA DELLA RICERCA

Dalle esperienze descritte emerge un messaggio chiaro: la PNS richiede una ridefinizione dei ruoli e delle pratiche di ricerca. Il ricercatore non è più l’esperto che detiene la verità, ma un facilitatore di processi partecipativi, un mediatore tra conoscenze diverse. La comunità locale non è più un semplice “oggetto” di studio, ma un soggetto attivo nel co-produrre conoscenza e soluzioni. La partecipazione non è solo un valore etico o democratico, ma una strategia per migliorare la qualità e la rilevanza della ricerca scientifica.

CONCLUSIONI

Le pratiche di ricerca e comunicazione che si ispirano alla PNS mostrano come sia possibile costruire alleanze inedite tra scienza, politica e società, anche nei contesti più difficili. Da Manfredonia alla Sicilia, dai fiumi Tevere e Aniene, dai musei alle università si sono sperimentate modalità nuove di produrre conoscenza, prendendo decisioni collettive, inclusive e informate. Non esistono soluzioni semplici né modelli predefiniti, ma percorsi che richiedono capacità di ascolto, apertura al dialogo, e il coraggio di mettere in discussione i propri ruoli e certezze. La PNS non promette risposte facili, ma offre alcuni strumenti per affrontare la complessità del nostro tempo.

 

 


Scienza Post Normale – Due casi concreti di applicazione delle prescrizioni

Un paio di settimane fa abbiamo parlato – in linea molto generale – del concetto di Scienza Post Normale, che abbiamo definito un “approccio normativo per la complessità e l’incertezza”. Un approccio che può guidare il lavoro di scienze e scienziati quando vengono chiamati in soccorso dalle istituzioni in condizioni, appunto, di incertezza, di rischio elevato, di conflitti valoriali e di urgenza.

Funtowicz e Ravetz sostengono che questo approccio – normativo, ricordiamolo - è utile quando la scienza normale, quella della soluzione di rompicapo all’interno di un paradigma stabile e consolidato[1] non può essere applicata perché le condizioni sfuggono alle classificazioni standard; e quando nemmeno le esperienze anche tacite, maturate dagli esperti nel corso della loro pratica, l’area della Professional Consultancy, non trovano un terreno solido su cui poggiare, a causa – soprattutto - delle condizioni di incertezza e della complessità ed intreccio delle poste in gioco.

Diagramma della scienza post-normale. Fonte: Scienza, politica e società, 2022

Può essere interessante, per comprendere la portata e l’applicabilità di questo approccio, di vedere due casi pratici, uno in cui le raccomandazioni sono state applicate in modo consapevole e uno in cui – rileggendone la storia a posteriori – si riscontrano le tracce di un utilizzo inconsapevole delle norme PNS.

L’INCONTRO PERSONALE DI ANDREA SALTELLI CON LA SCIENZA POST NORMALE

Nella sua vita “pre-post-normal-science”, Andrea Saltelli lavorava per la Commissione Europea, sullo sviluppo e sul controllo della qualità di modelli quantitativi da utilizzare nello studio e nella valutazione delle politiche comunitarie, in particolare, sull’educazione. Stimolato dal dibattito sull’approccio fondato da Funtowicz e Ravetz – comprese che il suo lavoro di controllo dei modelli “presupponeva” i modelli stessi, come se questi fossero scontati, naturali e la loro genesi non fosse affatto problematica.

C’erano domande sulla genesi dei modelli, racconta Saltelli, che fino allora non si era posto erano di questo tenore: “Perché è stato sviluppato questo modello? Chi l’ha richiesto? Con quali obiettivi e aspettative?”; e, ancora: “Quali voci sono state ascoltate nella costruzione del modello? Qual è la nozione di progresso che lo anima?”.

Tutte domande che lo spingevano a situare il focus del suo lavoro in un contesto socio-politico e in una visione del mondo, a cercare di comprenderne le distorsioni, le influenze e – soprattutto a valutarne gli effetti positivi e negativi sui programmi educativi e sui rapporti di forza tra stati o fra regioni.

In poche parole, l’approccio della PNS ha suggerito a Saltelli che i modelli quantitativi  sviluppati per simulare lo sviluppo delle politiche, controllarne e monitorarne l’applicazione, a volte già contenevano quelle stesse politiche e il loro sviluppo era una forma di legittimazione delle politiche stesse. In poche parole, l’obiettivo silente dei modelli poteva in certi casi risultare nella riduzione delle politiche nelle loro dimensioni quantitative e – in questo modo – farne risaltare l’immagine oggettiva e neutrale: “lo dicono i numeri”[2].

Numeri che, volutamente, per evitare la proliferazione di scenari alternativi - con i relativi impatti socio-politici – e garantire la linearità, tralasciano i fattori di incertezza e le potenziali condizioni di deviazione. Di tanti possibili scenari, ne “scelgono” uno, quello che legittima e conferma le scelte iniziali e le assunzioni di valore della politica che descrivono.

Applicare alcune delle raccomandazioni della PNS quali, ad esempio, la ricerca del pedigree dei dati e delle assunzioni preliminari di valore, contaminando la modellistica “ufficiale” non trovò un terreno fertile ma, al contrario, incomprensione e ostilità. Questo genere di contaminazione, racconta Saltelli, significava mettere in discussione il candido positivismo e la convinzione nella neutralità della scienza verso cui inclinano la maggior parte delle istituzioni comunitarie.

Le linee di ricerca che si sono aperte dopo questa presa di coscienza, tuttavia, si sono rivelate costruttive e produttive: è iniziato per questo ricercatore un periodo di “cooperazione con statistici che guardavano con interesse alla crisi della riproducibilità in termini di problemi epistemologici e normativi, che provavano diversi approcci all’interpretazione dei legami tra scienze, tecnologie e nuovi mezzi di comunicazione, che correlavano questi approcci alla cosiddetta post-verità e alle istanze dell’integrità delle scienze”

Oggi non sembra possibile, per questi ricercatori, sviluppare e adottare modelli statistici che non prendano in considerazione le incertezze, l’origine dei dati, le diversità valoriali e la molteplicità delle voci coinvolte.

IL CASO DELLA PANDEMIA DI H1N1 NEL 2009

Nel caso della pandemia influenzale del 2009-2010, causata dal virus H1N1[3], possiamo rintracciare alcuni elementi caratteristici delle prescrizioni della Scienza Post Normale, probabilmente messe in atto in modo non consapevole.

Vediamo qualche elemento chiave che delinea questa storia[4] come esempio di applicazione della PNS. Come prima cosa va ricordato che 1) solo la WHO (World Health Organisation) può dichiarare che la diffusione di una malattia è una pandemia e 2) che la dichiarazione dovrebbe seguire un percorso quasi meccanico, in cui i fatti sono stabili e chiari, il processo e le nozioni che lo delineano sono ben definiti e le risposte sono nette, quasi da manuale.
Nel caso della diffusione del H1N1, invece, i fatti scientifici emersi – come la ampiezza della diffusione della malattia, la sua velocità di riproduzione e il suo grado di gravità - furono tutt’altro che chiari e stabili, e la nozione stessa di pandemia venne messa in discussione nel corso del processo di studio del fenomeno.

Quello che accadde nel primo periodo epidemico fu che la diffusione - apparentemente ampia e veloce - e la gravità della malattia furono difficilmente misurabile a causa dell’incertezza dei dati sul numero di persone infette nelle diverse nazioni o regioni colpite e sul numero di morti, e della evidente divergenza di percezione che si verificò tra area ed area.

In questa situazione di incertezza, il processo che portò – nel giugno 2009 - alla dichiarazione di pandemia da parte della WHO, porse il fianco a una serie di critiche, sia da parte di numerosi scienziati che non riscontrarono nel fenomeno i caratteri epidemiologici necessari per chiamarlo pandemia; che da parte del Consiglio d’Europa, il quale  ritenne non giustificabile l’effetto di paura collettiva generato per una malattia che – dopo alcune settimane – si rivelò molto più lieve di quanto prospettato ; sia, infine, da parte di molti altri osservatori, per l’approccio ondivago della WHO[5]

Nel corso del processo, infatti, la WHO dovette rivedere più volte – sotto la pressione delle critiche di numerose nazioni e istituzioni, e di fronte al grado di incertezza sull’andamanto quantitativo e qualitativo della diffusione – sia la nozione di pandemia, che progressivamente incluse i fattori di novità, mutazione, diffusione, attività della malattia, e quello di imprevedibilità. Il fattore gravità fu anch’esso oggetto di discussione: prima fu escluso, a favore della dimensione della diffusione[6], poi fu reintrodotto tra i parametri di valutazione.

Ora, questa vicenda sembra avere tutte le caratteristiche di una situazione di scienza post normale: l’incertezza sui dati e sul fenomeno, la rilevanza della posta in gioco, quella della salute di grandi parti della popolazione mondiale, i conflitti tra attori e istanze valoriali, e l’urgenza di prendere decisioni.

Se, in un primo momento, la WHO si appellò al principio di precauzionalità, dando priorità al fattore urgenza, in un secondo momento diede ascolto alla pluralità di voci che si manifestarono a favore e contro la controversa dichiarazione di pandemia e, progressivamente, de-costruì e ricostruì la nozione di pandemia, includendo – tra gli altri - i fattori critici della imprevedibilità e le istanze delle istituzioni delle aree colpite.

Si tratta, quindi e con evidenza, di una costruzione sociale di un concetto che – secondo il mito della scienza intonsa (ne parla Elisa Lello qui) – dovrebbe avere confini scientifici chiari e ben definiti ma che, in realtà, è facile che non li abbia affatto e debba essere oggetto di negoziazione e di decisioni pluraliste.

QUALCOSA DI NUOVO SOTTO IL CIELO DELLA SCIENZA?

Forse no, forse l’analisi delle problematiche scientifiche proposta da Funtowicz e Ravetz non è nulla di nuovo, né di eccezionale;  i critici della PNS sostengono – infatti - che la PNS non ha scoperto nulla, ma ricalca temi noti da sempre alla sociologia della scienza.

Però, posto che sia così, senza la traduzione intelligente di questi temi proposta dalla Scienza Post Normale, il messaggio – quello della necessità di organizzarsi con una nuova e più variegata cassetta degli attrezzi per affrontare i grandi temi scientifici - non sarebbe arrivato né agli scienziati naturali, che non hanno una formazione sociologica o filosofica, né alla sfera politica.

 

 

NOTE

[1] Cfr.: Kuhn H., La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, 2009

[2] “I formed the opinion that there is a political economy of quantification whereby epistemic authority is purchased via recourse to models whose role is to objectify—and possibly sterilize—political issues making them appear determined and solvable through impersonal objectivity” Saltelli, A. What is Post-normal Science? A Personal Encounter. Found Sci 29, 945–954 (2024). https://doi.org/10.1007/s10699-023-09932-x

[3] Fu chiamata, erroneamente, influenza o febbre suina poiché «il virus sembra essere un nuovo ceppo di H1N1, che risulta da un precedente riassortimento triplo tra virus influenzali di maiale, uccello e umano, successivamente ulteriormente combinato con l'influenza euro-asiatica dei maiali,[4] da cui deriva il nome "influenza suina"» (Wikipedia, Pandemia influenzale del 2009-2010)

[4] La vicenda della dichiarazione della pandemia da H1N1 è analizzata dettagliatamente da Sudeepa Abeysinghe, in Global Health Governance and Pandemics: Uncertainty and Institutional Decision-Making,

[5] Oltre a questi fatti, fu ampiamente criticato il rilievo che – sembra di leggere una storia più recente – la WHO diede alla prevenzione vaccinale, ignorando altre misure di contenimento come – ad esempio - lavarsi frequentemente le mani, controllare le frontiere, utilizzare degli antivirali, che fu interpretata come un tentativo di favorire le grandi case farmaceutiche.

[6] Questa scelta fu il risultato di un tentativo di neutralizzare le critiche dello European Centre for Disease Control (ECDC) che non conveniva sulla gravità della malattia.


Scienza Post Normale - Un approccio normativo per l’incertezza e la complessità

Di recente l’Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti (la Treccani, per intenderci), ha pubblicato l’undicesima appendice di aggiornamento, in cui è compresa la voce “SCIENZA POST-NORMALE”, redatta da A. Saltelli.

Approfittiamo di questa occasione per parlare, ora, in generale del concetto di Scienza Post Normale, o PNS – Post Normal Science, e del perché può esserci utile; poi – in un prossimo articolo – di alcuni esempi di applicazione; infine, cercheremo di concludere il discorso con alcune nostre valutazioni, in un ultimo articolo, tra qualche settimana.

Per una trattazione più precisa e circostanziata rimandiamo volentieri ad A. Saltelli, da cui sono tratti tutti i passaggi in corsivo.

LE SCIENZE IN SOCCORSO DELLE ISTITUZIONI?

Accade spesso che ricercatori e scienziati – fisici, biologi, chimici, ingegneri, sociologi – vengano interpellati dai governi, dagli enti governativi e dalle istituzioni sovranazionali, per analizzare, studiare ed interpretare problemi, situazioni e fenomeni che possono avere impatti rilevanti sulla vita delle comunità.

Gli stessi scienziati e ricercatori – a conclusione delle loro analisi - sono poi chiamati dalle istituzioni a ricercare e a proporre delle soluzioni a questi problemi.

Un esempio è il problema del contenimento delle emissioni di gas serra sul quale la FAO ha coinvolto numerosi scienziati di diversa estrazione per studiare lo stato della situazione e definire delle linee guida[1] di comportamento (ne abbiamo parlato qui), un altro è la gestione della pandemia di Covid-19 tra 2020 e 2021 (ne abbiamo parlato qui per quanto riguarda l’Italia).

Questi due casi esemplificano alcuni dei caratteri frequenti di questo tipo di problemi: la loro complessità, il numero elevato di agenti endogeni ed esogeni che vi incidono, le poste in gioco molto rilevanti, l’urgenza di intervento, e – infine – l’elevata incertezza epistemica.

IL MITO DELL’OGGETTIVITÀ SCIENTIFICA

Ora, perché le istituzioni si rivolgono agli scienziati per analizzare e tentare di risolvere questo tipo di problemi?

Le ragioni potrebbero essere, sinteticamente, queste: la prima è perché, nell’immagine che ne hanno le istituzioni, gli scienziati sanno. Sanno di che si parla, sanno come si fa a studiare i fenomeni, grazie ai loro metodi disciplinari, sanno ponderare i diversi fattori, semplificare, modellizzare e ridurre alla sua essenza il problema. In termini filosofici: hanno in mano strumenti epistemici adeguati.

Una seconda ragione è che gli scienziati – e le scienze - sono considerati neutrali: i corpus disciplinare e il metodo scientifico godono di uno status di neutralità, equidistanza, oggettività e – soprattutto – di indipendenza da condizionamenti morali e politici[2].

Questi due presupposti – nell’immaginario istituzionale e del grande pubblico – sono la base della credibilità delle analisi scientifiche e del teorema per cui le istituzioni prendono le loro decisioni in modo responsabile, consapevole e per il bene della collettività, sulla base di dati e analisi incontrovertibili, oggettivi e di origine specialistica.

Gli scienziati chiamati in soccorso epistemico delle istituzioni, da parte loro e per lo più, credono nell’oggettività dei dati a disposizione, credono nei modelli che fanno, e – soprattutto – credono nella propria patente di neutralità e nell’assenza di distorsioni del proprio lavoro.

E sperano di lasciare al mondo politico e istituzionale il compito di discernere e decidere, in nome del bene comune[3].

IL MITO SFATATO

In realtà, sappiamo che questa auspicata condizione scientifica di neutralità ed oggettività delle scienze e degli scienziati può essere vera solo in alcuni casi molto circoscritti, ad esempio, con condizioni al contorno ben definite, con dati completi e di origine certificabile, in cui lo spazio per la distorsione, seppur involontari, è minimo.

Nei casi, invece, complessi, con numerose sfaccettature, con molti fattori endogeni ed esogeni, con poste in gioco multiple e rilevanti, con contorni sfumati, in condizioni di urgenza, – infine – con elevata incertezza epistemica, la presunta oggettività garantita dal metodo scientifico è una chimera.

Infatti, nelle scienze come in altre attività, ogni volta che si semplifica e si modellizza un problema, si fanno selezioni euristiche di dati (a volte si ricevono insiemi di dati e informazioni già selezionati dalle istituzioni), si prediligono risultati che confermano alcune ipotesi a priori[4], si è indirizzati da convinzioni personali, si accantonano informazioni che possono produrre distorsioni apparentemente fuorvianti, spesso si evitano conclusioni in aperto contrasto con il sentire comune oppure difficili da gestire all’interno della comunità scientifica[5].

In alcuni casi, le pratiche scientifiche si imbattono in questioni, scoperte e fatti che possono assumere una dimensione morale – o politica – rilevante e, a volte, pericolosa per singoli individui o per intere collettività: la fissione nucleare, con i suoi due correlati di produzione di energia ad uso civile e di morte di centinaia di migliaia di persone innocenti, è l’esempio più banale ed eclatante; i LLM,  modelli generativi di intelligenza artificiale sono un esempio più recente, più complesso e più articolato.

Spesso, invece, la distorsione epistemica è indotta dalla pressione di finanziamenti, di programmi di ricerca istituzionalizzati, di risultati attesi, che orientano la direzione della ricerca o le attese di risultati.

LA PROPOSTA NORMATIVA DELLA “SCIENZA POST NORMALE”

Il concetto di Scienza Post Normale, introdotto nei primi anni Novanta da Silvio Funtowicz e Jerome R. Ravetz[6], non è una nuova scienza, né una nuova disciplina, ma un insieme di precetti e raccomandazioni miranti a un migliore rapporto fra scienza e politica. I proponenti ne raccomandano l’uso quando i fatti sono incerti, la posta in  gioco alta, i valori in conflitto, e le decisioni urgenti.

È – di fatto - un tentativo di venire in soccorso e di indirizzare normativamente scienziati e istituzioni che si trovano di fronte a problemi di questo tipo, come cambiamento climatico, biodiversità, divario Nord-Sud e politiche post- o neo-coloniali, organismi geneticamente modificati, pandemie, salute globale su cui le istituzioni chiamano in aiuto le scienze.

La proposta di S. Funtowicz e J. Ravetz, di metodo per la Scienza Post Normale, quella che va oltre le aree disciplinari delle scienze applicate e delle conoscenze esperienziali degli esperti:

  • è orientata, invece, a demistificare la ricerca di verità assolute, la promessa di risultati certi grazie all’accumulo di fatti incontrovertibili;
  • si autodefinisce programmaticamente non neutrale
  • suggerisce di non credere nella neutralità delle cifre, dei dati disponibili: per questi, richiede di valutarne con occhio attento l’origine, la consistenza, la completezza – attraverso la metodologia NUSAP[7] - e di ricercare eventuali set di dati e informazioni trascurati, dimenticati e accantonati
  • ricorda di adottare una consapevolezza dei limiti del pensiero scientifico;
  • consiglia di non chiudere l’analisi su un orizzonte disciplinare unico ma – al contrario – di aprire l’analisi e la ricerca a una pluralità di discipline e a coinvolgere comunità estese di pari che comprendano da non accademici quali giornalisti, meglio se investigativi, a whistle blowers – cioè persone che portano alla luce problemi sorti all’interno di istituzioni o organizzazioni – e infine a tutte le persone coinvolte dal, o interessate al, problema discusso»;
  • raccomanda a ciascun scienziato e ricercatore, produttore e fruitore di conoscenza, un atteggiamento autoriflessivo, di critica epistemica[8], orientato a identificare e riconoscere i rischi di distorsione a cui può, soggettivamente, essere soggetto.

Concludiamo, con A. Saltelli, che una delle forze della PNS, è quella di aprire un utile canale di comunicazione fra comunità disciplinari, tra le quali quelle delle scienze sociali e delle scienze naturali, che non sempre agiscono di concerto in situazioni dove la scienza è chiamata in aiuto dalla società.

Secondo Saltelli, è forse questa la chiave più importante offerta dalla PNS. Una chiave, beninteso, utile solo se si desidera aprire una porta.

 

 

NOTE

[1] Cfr. il Rapporto Fao “Pathways towards lower emissions. A global assessment of the greenhouse gas emissions and mitigation options from livestock agrifood systems

[2] Una ulteriore ragione – quasi inconfessabile ma ben nota a chi, nel mondo delle aziende chiede pareri agli specialisti – è che i risultati delle ricerche possono essere influenzati dai dati messi a disposizione e selezionati in modo tale da dimostrare e legittimare teorie a priori.

[3] Cfr Oppenheimer ecc.

[4] «Observation is Theory-laden», Cfr. N.R.Hanson, Patterns of Discovery: An Inquiry into the Conceptual Foundations of Science, Cambridge University Press, 2010)

[5] Cfr. V. Marcheselli e G. Gobo, Sociologia della scienza e della tecnologia. Un'introduzione, Carocci, 2021

[6] Cfr. Funtowicz, Ravetz 1990a, 1993, 1994

[7] NUSAP: NUSAP (Numeral, Unit, Spread, Assessment and Pedigree) si propone come un sistema organizzato per testare e/o descrivere la qualità di un dato numerico: Numeral corrisponde al valore numerico del dato,

Unit è l’unità di misura corrispondente: se numeral è una temperatura, unit può essere, per es., gradi centigradi,

Spread è una misura dell’errore associato alla misura, generalmente accompagnato dal simbolo, Assessment è una sintesi del giudizio espresso da una comunità estesa di pari in merito alla qualità del processo che ha portato alla misura. Può fare riferimento al valore della significatività statistica, o essere espresso in linguaggio corrente come ‘conservativo’ oppure ‘ottimistico’. Pedigree infine è un giudizio, sempre espresso dalla stessa comunità, sulla qualità del team o istituzione che ha prodotto l’informazione. (A. Saltelli, cit.); cfr.: Uncertainty and quality in science for policy (Funtowicz, Ravetz, 1990; si può vedere qui)

[8] Facendo proprio, ci pare, lo stimolo di Edmund Husserl a non appiattirsi sul realismo metafisico; Cfr.: La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale

 

BIBLIOGRAFIA MINIMA

Saltelli, SCIENZA POST-NORMALE, in Enciclopedia Italiana, Undicesima Appendice, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2024

Funtowicz, S., & Ravetz, J. R. (1993). Science for the post-normal age, Futures25(7), 739–755

Funtowicz, S., & Ravetz, J. R. (1990a). Post-normal science: A new science for new times. Scientific European, 169, 20–22.